Ursula von der Leyen ha vinto grazie all’appoggio sofferto di chi pochissimo la sopporta, Socialisti e Verdi ma anche molti Liberali e Popolari. Lucia Annunziata, fresca di elezione a Strasburgo ha raccontato in tv di essere rimasta sbigottita, nelle riunioni del gruppo Socialista, per la sfiducia e la disistima che circondano la presidente rieletta. Tutti si aspettano di essere beffati dalla presidente in questa legislatura esattamente come nella precedente. Però l’hanno votata comunque.

Non l’ha votata invece Giorgia Meloni, che al contrario con Ursula si era trovata benissimo e con la quale condivide molto più di Verdi e Socialisti. Non l’ha votata ma avrebbe voluto poterlo fare. La “scelta coerente”, come la ha definita lei stessa, equivale a un’ammissione di fallimento, significa ammettere che un’intera strategia politica che mirava a fare dei Conservatori e in particolare di FdI la cerniera tra la Destra europea e il Ppe è franata.

Il paradosso non si spiega né con la furbizia e l’assoluta spregiudicatezza della presidente rieletta, che pure sono effettive e reali, né con l’inesperienza di Meloni, abituataa nuotare abilmente nel laghetto della politica italiana ma molto più sprovveduta quando si trova in acque alte e infestate da squali come quelle europee. C’è anche questo ma non è l’elemento più rilevante. Decisivo è il fatto che nel giro di poche settimane l’intero quadro politico europeo è cambiato. Ursula si è adeguata tempestivamente, Giorgia non ha saputo o forse non ha potuto farlo. La guerra in Ucraina, che è la vera bussola con cui orientarsi nelle peripezie europee e la corsa di Trump, quasi altrettanto importante hanno portato un fronteggiamento che proseguiva già da anni in uno scontro frontale, muro contro muro, che non ammette più sfumature e non lascia alcuno spazio alle posizioni mediane.

La scommessa di Meloni passava proprio per la massima valorizzazione di quella posizione intermedia, sovranista ma anche atlantista ed europeista, di destra ma apprezzata da Joe Biden e Mario Draghi. Macron e Scholz le hanno tagliato la strada ma a metterla con le spalle al muro sono stati anche, in misura persino maggiore, Orbàn e Le Pen. Nel mezzo, in questi casi, si rischia di finire schiacciati ed è quel che è capitato alla leader dei Conservatori.

Ursula von der Leyen, invece, ha saputo approfittare della polarizzazione, mollando l’alleata italiana anche per costringere i riottosi eurodeputati della maggioranza che porta il suo nome, ora allargata anche ai Verdi, a votarla con il naso turato in nome della necessità di fare muro, appunto, contro la destra. Ma il processo di polarizzazione e radicalizzazione dello scontro non si è affatto concluso. Salirà invece di livello, anzi di parecchi gradini, se Donald Trump

sarà il prossimo presidente degli Usa e per Meloni sarà un guaio enorme.

Qualcosa di molto simile sta succedendo anche nel cortile italiano, soprattutto sul suo lato sinistro. Meno di un mese e mezzo fa il campo largo sembrava appunto un campo, però di battaglia. Veti incrociati, sgambetti, diffidenze reciproche. Non che sia tutto risolto ma il passo di Renzi verso il Pd agevolato da una partita e mosso di corsa per anticipare Calenda, è un segnale inequivocabile. Conte continua a distinguersi come può: non ha votato per von der Leyen e resta deciso a incarnare l’anima pacifista del centrosinistra, in competizione non facilissima con Avs che da quel punto di vista ha alle spalle tutta una tradizione. Ma è venuto meno il carattere agonistico e fortemente competitivo, anche a costo di sfasciare il giocattolo non ancora neppure incartato, dei mesi scorsi.

L’avvocato ha trovato nella guerra quella possibilità di identificarsi che l’approdo alla segreteria di Elly Schlein gli aveva sottratto dopo le elezioni e naturalmente c’è una componente competitiva come ci sarà con Renzi, ad esempio sul terreno della giustizia e del garantismo. Ma è una competizione che ha perso il carattere antagonistico di fondo. L’alleanza è un destino e chi insiste nel sottrarsi, come Calenda o una parte della stessa Iv ragiona da impolitico.

A destra il quadro sembra opposto e lo è. La maggioranza è oggi più divisa di quanto non fosse prima delle elezioni europee. Il quadro pare quasi rovesciato, con un centrosinistra per la prima volta in grado di gestire le divisioni al proprio interno e la destra, da trent’anni maestra in questo esercizio, che invece stenta. Ma è anche questa una conseguenza della polarizzazione e della radicalizzazione che mette nei guai una maggioranza nella quale una componente è schieratissima con la Destra, mentre le altre due, da sponde opposte, puntavano proprio sul dialogo tra la destra centrista e quella più radicale. Con l’Ucraina a fare da spartiacque e Trump vicino a essere eletto non solo presidente degli Usa ma leader assoluto della destra occidentale, per Meloni trovare una collocazione e tenere sotto controllo la sua maggioranza non sarà d’ora in poi facile.