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Alla fine Enrico Letta perde ognuna delle sue scommesse: il centrodestra a trazione meloniana sbaraglia ogni concorrenza, il Movimento 5 Stelle regge parecchio bene contro ogni previsione, e il Partito democratico non solo vede col binocolo la prima posizione ma potrebbe piazzarsi persino al di sotto della soglia psicologica del 20 per cento. Mentre scriviamo, alla quinta proiezione, il partito di Letta viaggia tra il 19 e il 20 per cento (a seconda dei diversi istituti). Non molto distante, dunque, dal 18,7 di cinque anni fa, quando i dem a trazione renziana portarono a casa il risultato più magro della storia del Nazareno. E non si può escludere che il conteggio finale consegni un quadro persino peggiore del 2018. Come prevedibile, in un contesto multipolare, l’appello al voto utile non ha dato i suoi frutti. Gli elettori di centrosinistra si sono sparpagliati. In tanti, ad esempio, hanno preferito premiare il nuovo Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che bene ha occupato tutti gli spazi lasciati liberi dal Pd, fino a proporsi come unica alternativa di sinistra davanti agli italiani. E a suon di salario minimo, difesa del reddito di cittadinanza e contrarietà all’invio di armi all’Ucraina i pentastellati sono riusciti a salire sul terzo gradino del podio, con un risultato (tra il 15 e il 17 per cento) che certifica la buona salute della creatura contiana. Certo, nulla a che vedere col quasi 33 per cento con cui nel 2018 travolsero il sistema partitico italiano, ma un indubbio successo se tarato sulle previsioni di sparizione seguite alla caduta del governo Draghi. L’avvocato di Volturara Appula è riuscito a sovvertire ogni pronostico e a mettere l’ex alleato di governo con le spalle al muro. Difficilmente, infatti, dopo questo risultato, Enrico Letta riuscirà a rimanere in sella al suo partito. Troppi gli errori da matita blu per superare indenne questa tornata elettorale: il rifiuto di mantenere in vita il fronte giallo-rosso, l’incapacità di tenere insieme Fratoianni e Calenda, la convinzione di convincere gli italiani sventolando semplicemente l’agenda Draghi e urlando al pericolo fascista. Il Pd è apparso così fiacco, sbiadito, senza una visione e appiattito sulla linea di governo. Non uno slancio, non un distinguo, non un’idea identitaria. Il tutto aggravato dalla sottovalutazione della popolarità del leader 5S, ancora “amato” da molti italiani che hanno apprezzato l’uomo delle “conferenze serali” nella fase più buia della pandemia. Una strategia fallimentare, insomma, in cui Conte si è saputo insinuare parlando anche all’elettorato dem, proponendosi come unica «forza progressista» del Paese, libera di sparare su Palazzo Chigi, fino a rivendicare (nella fase finale della campagna elettorale) il “draghicidio” che il Pd pensava di usare come arma. Ha sparato a salve. E Letta è rimasto solo nella sua crociata, abbandonato persino dalla Cgil che si è guardata bene dallo schierarsi a favore del maggior partito del centrosinistra. È la stessa solitudine che adesso il numero uno del Nazareno dovrà affrontare tra le mura amiche dove già si preparano a “processare” il capo. A sorridere resta solo Giuseppe Conte, con cui il Pd dovrà per forza tornare a parlare dai banchi dell’opposizione. L’ex premier è riuscito a sopravvivere a una scissione e all’isolamento mediatico, indossando senza imbarazzi i panni di un Mélenchon all’amatriciana. Una parte consistente dell’elettorato ha trovato credibile la nuova collocazione dell’avvocato e lo ha seguito. Mentre il “responsabile” Luigi Di Maio, alleato di Letta, ha perso la sfida all’uninominale col grillino Sergio Costa e il suo partito, Impegno civico, non è riuscito a raggiungere quota 1 per cento. Il magro bottino del ministro degli Esteri non servirà dunque neanche a gonfiare il dato del “centrosinistra”, sotto l’un per cento quelle schede andranno infatti disperse. Letta può consolarsi solo col “buon” risultato di “Alleanza Verdi/Sinistra” che col 3,5 per cento (o giù di lì) si conferma il partner più solido della coalizione. Una coalizione di comodo con cui comunque il segretario del Pd non avrebbe mai «governato» per sua stessa ammissione. Il problema in ogni caso non si porrà: a governare il Paese saranno Meloni, Salvini e Berlusconi. Anche grazie alla frammentazione del campo largo che Letta ha contribuito a creare.