La poltrona di Raffaele Fitto al governo è rimasta vacante per appena un paio di giorni. Il capogruppo alla Camera Tommaso Foti chiamato a sostituirlo, ha giurato ieri mattina, contestualmente all'accettazione delle dimissioni del predecessore da parte del capo dello Stato. Proprio Mattarella aveva esercitato la sua moral suasion, la settimana scorsa, per anticipare i tempi rispetto all'idea originaria della presidente del Consiglio, che progettava l'interim fino al prossimo gennaio.

Al posto di Foti, come presidente dei deputati FdI andrà Galeazzo Bignami anche lui fedelissimo e coetaneo della premier, oggi sottosegretario ai Trasporti e noto al vasto pubblico soprattutto per la foto ampiamente circolata in camicia nera e con tanto di svastica. Dopo lo scioglimento del Popolo delle Libertà era passato a Forza Italia, dove è rimasto per 5 anni, ma è tornato all'ovile, avendo militato sin da ragazzo nel Fronte della Gioventù e poi in Azione Giovani appena entrato alla Camera. Meloni avrebbe preferito Donzelli ma a dirsi indisponibile è stato proprio il responsabile dell'Organizzazione di FdI. Preferisce restare al partito. Foti rimpiazzerà Fitto in tutto e per tutto.

L'ipotesi di spacchettare le deleghe in capo all'attuale vicepresidente della commissione europea è stata effettivamente considerata a lungo da Meloni. L'ipotesi era affidare il Pnrr al vicesegretario alla presidenza Fazzolari e la Coesione all'altro sottosegretario di Chigi, Mantovano. Alla fine la premier ha deciso di lasciare tutto intatto, un po' perché gli alleati erano assolutamente ostili allo spacchettamento, un po' perché i due sottosegretari hanno già in pugno una quantità esorbitante di deleghe: in realtà dei sue settori delicatissimi gestiti da Fitto si sarebbero occupati ben poco.

Del resto, il Pnrr continuerà a essere competenza soprattutto del commissario europeo, cioè sempre di Fitto. C'è chi nella decisione di nominare un politico glissando sull'ipotesi, anche questa presa seriamente in considerazione, di affidare gli Affari europei a una diplomatica molto esperta come Elisabetta Belloni vede anche un vittoria di Antonio Tajani, che a quell'ipotesi era ferreamente contrario anche perché temeva, comprensibilmente, che una figura così forte alla guida degli Affari europei avrebbe messo in ombra il suo ruolo di ministro degli Esteri. E' possibile che anche questa considerazione abbia pesato sulla scelta della presidente. E' impegnata nella missione di provare a riportare la pace in una maggioranza che all'improvviso si è trovata nella tempesta. A Tajani, che reclamava per Fi quel ministero, ha già risposto picche.

Perché irritarlo ulteriormente con la nomina più sgradita. In ogni caso, però, non è stata questa la motivazione principale della scelta, suggerita peraltro anche dal ' padre nobile' di FdI, il presidente del Senato La Russa. Scegliendo Foti, Giorgia Meloni ha di fatto optato per mantenere un controllo assoluto sul ministero e sulle sue deleghe. Il neoministro è uno degli esponenti di FdI di cui si fida maggiormente. La dichiarazione di ieri è tra le righe eloquente: «Tommaso è un politico di grande esperienza e capacità, tra le migliori risorse di cui FdI dispone. E' un militante appassionato e coerente, che ha dedicato fin da giovanissimo la sua vita al servizio della sua comunità e della Nazione».

Insomma uno della vecchia guardia, un ex missino e militante del Fronte della Gioventù voluto da Giorgio Almirante. La necessità di tenere sotto stretto controllo gli Affari europei non è dovuta solo alla gestione del Pnrr. Quello è un settore più che nevralgico ma anche da Bruxelles resterà in mano a Fitto. La premier voleva che a Roma ci fosse un ministro in grado di intendersi perfettamente con il commissario europeo e il suo fedelissimo ex capogruppo corrisponde all'identikit. Ma non c'è solo il Pnrr. Le baruffe della politica interna italiana non hanno gran peso e non spostano voti.

Dalle elezioni in poi le differenze si misurano in puntarelli e sono per lo più travasi all'interno delle coalizioni, o nel caso del centrosinistra della coalizione in fieri. La partita grossa, quella pericolosa, si giocherà in Europa ed è un gioco nel quale confluiscono sin troppe correnti tutte tempestose: la crisi dell'auto che flagella la Germania ma non risparmia l'Italia e ancora di meno la risparmierà in futuro, l'offensiva di Trump che solo un eccesso di ottimismo può far sperare che non ci sarà, anche se in misura più o meno greve, il nodo della guerra in Ucraina e quello del riarmo, entrambi con la potenzialità di rivelarsi scorsoi, la destabilizzazione in Medio Oriente che era già minacciosa ma lo diventerebbe infinitamente di più in caso di guerra prolungata in Siria. L'Europa, nei prossimi mesi e più probabilmente anni si giocherà tutto ma è altrettanto vero che ciascun Paese si giocherà altrettanto. E quella partita Giorgia vuole giocarla con tutti le leve del comando in pugno.