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Il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni, ormai parla da consumato diplomatico. E non potrebbe essere diversamente, vista l’importanza e la frequenza dei dossier che negli ultimi mesi gli stanno piombando addosso. Così, dopo il premierato e l’autonomia differenziata, deve destreggiarsi in questi giorni con la questione - squisitamente politica - del terzo mandato. Ieri c’è stato un mini- vertice di maggioranza, al quale per il governo era presente il ministro per i Rapporti col Parlamento, il veneto Luca Ciriani ( lo stesso che ha fatto irritare i leghisti affermando che «Zaia non è eterno» ).
Balboni, intercettato dai cronisti, ha fatto sapere che ammetterà alle votazioni il famigerato emendamento leghista sul terzo mandato, che la cosa migliore sarebbe che i senatori salviniani lo ritirassero ma che in caso contrario «il legislatore farà il proprio dovere fino in fondo». Si potrebbe leggere come un avvertimento velato al leader del Carroccio sul fatto che, in caso di muro contro muro, quest’ultimo andrebbe incontro a uno smacco, venendo messo in minoranza dagli alleati.
In realtà, benché la Lega non abbia formalmente ritirato l’emendamento al dl elezioni e dica di voler andare fino in fondo, appare abbastanza chiaro che nessuno, nel centrodestra, voglia andare alla conta su un fronte come questo. Lo stesso Salvini ha tenuto a sottolineare che la coalizione «non si dividerà su questo», ricevendo parole di apprezzamento dagli alleati. Ieri i luogotenenti dei leader a Palazzo Madama sapevano benissimo che la discussione parlamentare sul terzo mandato, in questa fase, è poco più di un gioco di posizionamenti politici, perché da Palazzo Chigi Giorgia Meloni, sul punto, è stata categorica e non esistono pertanto spazi di agibilità politica per i leghisti. A meno che alcuni eventi politici contingenti dovessero preludere a un cambio di equilibri o comunque mettere sul tavolo elementi nuovi. Non a caso, il tanto atteso voto sul terzo mandato pare con ogni probabilità destinato a slittare alla prossima settimana per una questione formale che in genere può essere risolta in poche ore, e cioè l’acquisizione del parere della commissione Bilancio. La verità è che, anche in questo caso, tutti preferiscano sedersi al tavolo con in tasca i risultati delle elezioni regionali in Sardegna e, soprattutto, è ritenuta cosa pacifica che non si possa andare tutti insieme a un comizio elettorale il mercoledì e votare l’uno contro l’altro in commissione il giovedì.
Se ne parlerà dunque a bocce ferme, quando Antonio Tajani sarà stato ufficialmente eletto segretario di Forza Italia dal congresso azzurro, e quando si saprà se la forzatura di Giorgia Meloni nell’isola dei quattro mori ha avuto fortuna o meno. È tornato infatti di moda negli ultimi giorni il vecchio e usurato adagio andreottiano «a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca», relativamente a quello che potrebbe succedere domenica sera. È arcinoto che la Lega abbia dovuto ingoiare la candidatura del meloniano doc e sindaco uscente di Cagliari Paolo Truzzu a governatore, ai danni dell’autonomista e in carica Christian Solinas, “invitato” da FdI a non ricandidarsi. Qualora Truzzu non dovesse farcela, perdendo per giunta contro un’opposizione divisa, questo rappresenterebbe di certo una brutta battuta d’arresto per la premier. Gli spifferi di Palazzo parlano di strane manovre attorno alla possibilità di un voto disgiunto da parte di una quota di elettori (ad esempio quelli del Partito sardo d’azione, vicini alla Lega tanto da condividerne l’intestazione dei gruppi parlamentari, formalmente con Truzzu ma scottati dal siluramento di Solinas) ma questo è tutto da verificare. E poi, se veramente il Carroccio lasciasse le proprie impronte digitali su un’inaspettata sconfitta di Truzzu, cosa potrebbe succedere, per esempio, su ciò che a via Bellerio vedono come imprescindibile, vale a dire sul ddl Calderoli sull’Autonomia, che tra qualche giorno muoverà i suoi primi passi a Montecitorio dopo essere stato approvato al Senato? L’impressione che si va rafforzando è che terzo mandato, candidature alle prossime amministrative e Regionali e altre questioni simili, siano in qualche modo gestibili, in attesa del vero grande showdown delle Europee.