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ANTONIO TAJANI MINISTRO ESTERI, GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MATTEO SALVINI MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE
A giudicare da ciò che è avvenuto in Parlamento nelle ultime ore, nell'apericena di maggioranza di domenica sera a casa Meloni le questioni politiche devono aver lasciato ben presto il passo alla visione della finale di Coppa Davis. Se l'obiettivo della premier Giorgia Meloni, infatti, era quello di smussare gli angoli vivi tra i punti di vista di Antonio Tajani e quelli di Matteo Salvini su una serie di questioni, a partire dalla Manovra, va detto che per il momento si è ben lungi dal raggiungerlo.
Nel giro di 24 ore si è assistito a una serie di rinvii, di defezioni e di parole dette a mezza bocca (e talvolta a tutta bocca) tra i due soci di minoranza del centrodestra, che hanno contraddetto nella lettere e nello spirito quanto la presidente del Consiglio aveva chiesto ai suoi alleati, e cioè di non dare l'impressione di una coalizione litigiosa. E in effetti i due vicepremier stanno dando non l'impressione, bensì la certezza che in questo momento il centrodestra è diviso praticamente su tutto.
Sia sulle questioni per le quali è plausibile immaginare una ricomposizione (vedi dl fiscale e legge di Bilancio) sia su quelle ben più profonde, a cui è legato il destino stesso della legislatura (vedi autonomia differenziata e giustizia). Andando per ordine, si può dire che in questo momento si è nella fase della più classica delle guerriglie parlamentari: la giornata, da questo punto di vista, è stata emblematica.
All'ordine del giorno della commissione Bilancio del Senato c'era il dl fiscale e la seduta era stata inizialmente convocata per le 10. Dopo una serie di rinvii e di uffici di presidenza, che hanno fatto il pace con quella di lunedì in tarda serata, alla presenza del ministro per i Rapporti col Parlamento Luca Ciriani, la riunione è iniziata dopo le 15, ma ben presto i presenti hanno dovuto gettare la spugna e passare ad analizzare un altro provvedimento, data l'impossibilità di giungere a un compromesso sul tema del canone Rai, che la Lega è determinata a diminuire da 90 a 70 euro contro il parere di Forza Italia.
Su questo terreno, la bagarre tra i due partiti è ciclica: qualche mese fa il Carroccio chiese la rimozione del tetto di raccolta pubblicitaria per il servizio pubblico, innescando la dura reazione degli azzurri e degli eredi Berlusconi, irritati – per usare un eufemismo – dalla possibilità che Mediaset perdesse fette di mercato pubblicitario. L'emendamento sul canone è un po' la stessa solfa, perché il mancato introito dei contribuenti la Rai dovrebbe andare a recuperarlo con la raccolta pubblicitaria. Da qui la levata di scudi dentro Fi e, al contempo, l'atteggiamento rigido della Lega, che ha parlato di una “promessa agli italiani”.
Al momento è prevista un'ulteriore riunione della commissione Bilancio, che potrebbe decidere di demandare tutta la questione alla discussione della Legge di Bilancio, invece che del dl fiscale. Ma Salvini, dal giorno successivo alle Regionali che hanno stabilizzato il sorpasso di Fi sul suo partito, ha ricominciato a stuzzicare gli azzurri sull'altro fronte sensibile, e cioè quello delle banche, con l'intenzione di sussurrare un altro conflitto d'interesse forzista dovuto alle attività dei Berlusconi.
Mentre teneva banco l'affaire canone, infatti, il leader leghista ha impugnato la bandiera dell'interesse nazionale contro l'Ops di Unicredito nei confronti di Bpm, peraltro bocciata dal cda di quest'ultima. Dentro Forza Italia, invece, l'operazione non è vista male e non giustificherebbe la golden share ventilata dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che almeno in questo caso ha dato manforte a Salvini.
Si parlava di riunioni saltate e di esami rinviati, e da questo punto di vista l'episodio che ha dato più nell'occhio è stato quello del Cdm di lunedì pomeriggio, convocato per dare il via libera al dl giustizia con le nuove norme sugli illeciti disciplinari delle toghe e saltato per l'assenza dei ministri di Forza Italia. In mattinata una nota degli azzurri ha parlato di «singolari e fantasiose ricostruzioni della stampa», sottolineando che «non c'è mai stato un piano per disertare volontariamente il cdm». La defezione di tutti i ministri forzisti, però, qualche interrogativo lo pone, nel momento in cui alcune affermazioni del Guardasigilli Nordio rispetto alla necessità di tornare al dialogo con la magistratura lasciano intuire che anche sul fronte giustizia la linea incendiaria di Salvini, fatta di comunicati quotidiani estremamente aggressivi nei confronti delle toghe stia cominciando a diventare scomoda.
Sullo sfondo, rimane la spada di Damocle dell'Autonomia, in attesa delle motivazioni dei rilievi della Consulta sul testo Calderoli e mezza Forza Italia che spera silenziosamente nell'affossamento della legge. Su questo terreno, però, la posta in gioco è decisamente alta, soprattutto per Salvini che si gioca anche la leadership interna, con un Luca Zaia sempre più battagliero e in un certo senso provocatorio. E' notizia di oggi che in un questionario del Consiglio regionale del Veneto indirizzato ai dipendenti sullo smart working, alla voce “sesso” la risposta può essere non binaria: oltre a “uomo” e “donna”, si può infatti barrare la casella “altro”. Facile immaginare la reazione di Salvini e del suo compagno di strada Vannacci.