«Non abbiamo bisogno di alcuna sveglia perché siamo sveglissimi, basta vedere quello che facciamo». Antonio Tajani era ieri nella sede del partito per presentare una serie di iniziative di Forza Italia in vista del congresso del Ppe, previsto per fine aprile. Ma sapeva benissimo che le domande che i giornalisti gli avrebbero rivolto sarebbero andate a parare sull'intervista che Marina Berlusconi ha concesso nei giorni scorsi al Foglio.

Non una semplice conversazione, ma un qualcosa che è sembrato molto vicino a un manifesto politico per una stagione nuova di FI, maggiormente caratterizzata da scelte laiche e liberali, come ad esempio una legge sul fine vita e il sostegno convinto all'Unione europea, per contenere il “bullismo” di Donald Trump.

E la risposta è arrivata, in effetti, seppure in chiaroscuro, ma con un principio tenuto fermo, e cioè che secondo il segretario azzurro le parole della primogenita del Cavaliere erano rivolte non tanto al gruppo dirigente di FI, bensì agli alleati di centrodestra. Un messaggio, in sostanza, per dire alla premier Giorgia Meloni che nella sua maggioranza troverà sempre un saldo ancoraggio al centro. «Tutte le idee sono da ascoltare», ha osservato Tajani, «ma non è una questione che riguarda FI. Si può strumentalizzare, si può dire tutto e il contrario di tutto ma non è questo il tema. Ho letto attentamente l’intervista», ha tenuto a sottolineare Tajani, «non è una questione interna a FI». In realtà il Berlusconi pensiero ha creato subbuglio nel partito, e non mancano voci di un certo malumore in seno all'ala destra (il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, per fare un nome).

Per questo la prima preoccupazione del ministro degli Esteri è stata quella di evitare focolai di aperta polemica: «Marina Berlusconi ha diritto di esprimere le proprie idee come imprenditrice», ha detto, «non ci ha mai chiesto di imporre nulla. Io la sento spessissimo. Non bisogna strumentalizzare ogni cosa. Gli elettori la risposta ce l’hanno già data. Marina ha detto dall’inizio che ci sostiene nella diversità dei ruoli e dei compiti. Le sue parole non vanno mai interpretate in senso di intervenire nella vita interna al partito». «non partecipa mai», ha proseguito, «a manifestazioni politiche, abbiamo rapporti amicali, ascolto le sue osservazioni ma non ha mai preteso nulla, mai chiesto di fare nulla». Sarà un caso, ma dopo la premessa sull'intervista di Berlusconi Tajani assesta una frecciatina al leader leghista Matteo Salvini, sollecitato da una domanda sulla proposta di quest'ultimo di inserire il presidente Usa Trump tra la rosa dei candidati al premio Nobel per la pace. «Ognuno ha le sue idee», ha commentato Tajani, «e fa le sue valutazioni legittime e giuste, non fa parte della politica di governo o dell’accordo di maggioranza chi deve diventare premio Nobel». Ma se questa può essere derubricata a schermaglia dialettica, seppure sapida, è la replica a Salvini sul fronte del fisco ad assumere maggiore sostanza. Come è noto, il segretario del Carroccio sta conducendo una campagna forsennata sulla pace fiscale e si appresta a presentare in Parlamento una proposta di legge sulla rottamazione, accompagnandola con una mobilitazione del “popolo dei gazebo”, prevista per il secondo weekend di marzo.

Mercoledì scorso Salvini si è rivolto in cagnesco verso quanti, a suo avviso, pensano di fare all'interno del centrodestra i “signor no”, al pari dell'opposizione. Questo suo avvertimento non ha impedito al ministro degli Esteri di “resistere”: «Consideriamo prioritario», ha detto, «il taglio dell’Irpef dal 35 al 33 per cento allargando la base fino a redditi di 60 mila euro. Questo per dare un chiaro segnale al ceto medio italiano che non deve diventare ceto povero, è un provvedimento, quello a cui pensiamo, strutturale, mentre quello della rottamazione delle cartelle è un intervento ad hoc». «Se dopo il taglio dell’Irpef», ha aggiunto, «ci saranno anche strumenti economici per lavorare sulla rottamazione, siamo assolutamente disponibili e non siamo assolutamente contrari».

A completare il quadro delle messe a punto di Tajani, una precisazione che dopo il panegirico salviniano suona non banale: «Noi sosteniamo il governo legittimo dell’Ucraina e il diritto internazionale. Il presidente legittimo è Zelensky e le nostre interlocuzioni sono con lui».