Già improbabile per le prime reazioni, di sorpresa prevalentemente critica, al patteggiamento con i pubblici ministeri di Genova, preferito al processo per corruzione, un ritorno politico dell’ex governatore della Liguria Giovanni Toti è diventato ancora più difficile dopo quello che ha detto di lui e del suo ciclo in veste di segretario di Forza Italia il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Che, intervistato nella redazione del genovese Secolo XIX, ha parlato di una “era Toti” ormai alle spalle, archiviata nella rappresentazione politica forse anche allo scopo di consentire al candidato del centrodestra alla presidenza della regione, il sindaco di Genova Marco Bucci, di fronteggiare meglio il cartello di sinistra capeggiato dall’ex ministro Andrea Orlando, del Partito Democratico, appesosi al patteggiamento di Toti come ad una stampella. Di ritorno sicuro dell’ex governatore della Liguria resta ormai solo quello alla professione giornalistica.

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Il caso Toti resuscita il solito equivoco: patteggiare non vuol dire essere colpevoli

Interrogato sulla “solitudine” avvertita e lamentata più volte da Toti quasi a giustificazione della decisione di patteggiare, piuttosto che infilarsi in un lungo processo, Tajani ha seccamente risposto che «veramente è lui che ha lasciato soli noi», almeno i forzisti, peraltro lasciati «fuori dalla giunta» regionale dell’uomo che pure era stato portato in politica da Forza Italia, e personalmente da Silvio Berlusconi. Di cui era stato presentato dai giornali per un certo tempo come il nuovo delfino, dopo lo spiaggiamento di Angelino Alfano. Un delfino che il Cavaliere si era portato appresso anche nelle sue cure dimagranti, attento com’era alle immagini fisiche del politico. E lui, Toti, in effetti senza Berlusconi, e prima ancora che questi morisse, di peso fisico, appunto, è cresciuto di parecchio.

A Tajani, insomma, non è piaciuto per niente il Golgota evocato da Toti parlando della croce che pochi o nessuno lo avevano aiutato a portare nella salita inflittagli dai magistrati con una novantina di giorni di arresti domiciliari e una dovizia di accuse. «Non so con chi ce l’avesse, a noi non può dire niente», ha reagito Tajani. E ancora sul patteggiamento ha insistito: «E’ una scelta sua. Non eravamo in giunta, e di tutte le decisioni che sono state prese non ne sapevamo nulla. Non ci ha informato di questa scelta, non sapevamo nulla né abbiamo chiesto nulla. Abbiamo sempre avuto l’idea che dopo Toti bisognava andare su un civico, anche per dire ai liguri che inizia una nuova stagione». Nuova, ripeto: non la continuazione della vecchia con un altro traino, o con po’ di” totite” cronica addosso, magari pure aggravata.

Volente o nolente, il vice presidente del Consiglio e leader forzista, pur facile più al sorriso che al ghigno, più alla battuta che alla parolaccia, con Toti ha tirato fuori gli artigli. E pensando agli scontri più o memo diretti avuti anche in passato, dopo l’autonomia presasi da Toti nei rapporti con Berlusconi, ha confermato che anche in politica, o soprattutto in politica, il piatto della vendetta si serve e si consuma freddo: né caldo, né tiepido.

Stanno sperimentando questo aspetto di Tajani anche altri ex colleghi di partito usciti ai tempi di Berlusconi, scontrandosi prima col cerchio magico che lo contornava e poi col Cavaliere in persona, e pronti a rientrare per i cambiamenti intervenuti nelle aree politiche dove si erano rifugiati, se solo il segretario del partito azzurro lo volesse. A Letizia Moratti e ad Enrico Costa il rientro è riuscito, a Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che hanno abbandonato anche il partito di Carlo Calenda, no. O non ancora. «Non ci sono contatti o trattative. Non ho parlato con loro di recente», ha laconicamente risposto Tajani alla curiosità dei giornalisti del Secolo XIX. E infatti entrambe, già ministre con Berlusconi, hanno imboccato in Parlamento il sentiero del gruppo misto.

Più che recuperare figlioli più o meno prodighi delle storie evangeliche, Tajani sembra cercare parlamentari dalle provenienze più lontane possibili dalle sue parti. Gli piacciono tanto, per esempio, i grillini spiazzati, a dir poco, dalla polvere alla quale stanno riducendo le cinque stelle, litigando fra di loro, il presidente e il fondatore. Che comunicano ormai solo per pec e carte più o meno bollate. E pensare che Grillo dava a Berlusconi dello psiconano, prima di invidiarne i voti che prende anche “da morto”.