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La premier Giorgia Meloni
In due giorni Giorgia Meloni ha messo a segno due colpi certo non decisivi ma neppure irrilevanti. La risoluzione sull'invio delle armi all'Ucraina è stata approvata con il voto a favore del Pd e del Terzo Polo, con la formula classica per cui ciascuna delle tre risoluzioni è stata votata anche dai sostenitori delle altre.
Le comunicazioni della presidente Meloni in vista del Consiglio europeo di oggi, materia più delicata dal momento che non erano limitate al sostegno all'Ucraina ma toccavano addirittura il capitolo più spinoso, quello dell'immigrazione, sono state bocciate solo dal M5S e da Asv. Pd e Terzo Polo, in questo caso si sono astenuti.
Proprio mentre il Senato votava le comunicazioni della premier, la Commissione europea ha dato il suo semaforo verde alla legge di bilancio emettendo un «giudizio complessivo positivo con alcuni rilievi critici». I rilievi sono quelli di cui si dibatte da settimane in Italia e stando al livello dei decibel raggiunti nella polemica quei punti critici si direbbero elementi centralissimi. In realtà non è così: le querelles sul Pos, sul tetto per il contante e per la Flat Tax riguardano misure nel concreto di scarso rilievo, tanto che la stessa commissione obietta sulle indicazioni che veicolano non sulla loro effettiva portata. Né l'uno né l'altro obiettivo era certi in partenza.
Il governo Meloni esiste grazie al voto di due forze politiche, Lega e Fi, che in tema di guerra e sostegno all'Ucraina sono un migliaio di volte più tiepide della presidente. Era ipotizzabile, anzi ipotizzato, che sfruttassero la postazione determinante per strappare almeno una minore drasticità. Non è andata così. Salvini e Berlusconi si sono semplicemente arresi. In un clima da scontro di culture inconciliabili come quello che cavalca l'opposizione, esattamente come avrebbe fatto la destra a parti rovesciate del resto, il voto a favore della risoluzione era comunque prevedibile, l'astensione sulle comunicazioni della premier un po' meno. Nel complesso sui temi oggi più incandescenti, quelli della guerra e della crisi, Giorgia gode dell'appoggio di una schiacciante maggioranza.
Anche il giudizio della Commissione era prevedibile, data la natura della manovra. Però alla vigilia, prima che la legge di bilancio prendesse forma, pochi avrebbero scommesso su una marcia con così pochi intoppi, date le promesse delle forze di maggioranza e la scarsa disponibilità a chiudere un occhio nei confronti di un governo fortemente sospetto da parte di Bruxelles. La promozione piena con “rilievi critici” nel caso specifico è un successone.
Il doppio colpo mette però la premier di fronte a un bivio e dovrà scegliere quale via imboccare nel giro di mesi e non di anni. Risolve alcuni problemi nell'immediato ma ne pone altri, anche più complessi e delicati nel prossimo futuro. Per quanto Giorgia rivendichi la «coerenza», che in realtà è il suo brand elettorale vincente, la realtà è opposta. La destra ha centrato i bersagli proprio sacrificando la sostanza della propria impostazione. È una destra atlantista, anzi iperatlantista, in politica estera, rigorista in materia di conti pubblici, europeista senza sbavature in tutto, persino in materia d'immigrazione, tranne che nei toni e nelle apparenze. Una destra nella quale, prima di vincere le elezioni, erano schiaccianti le componenti antisistema si sta rapidamente riciclando in baluardo del sistema pur continuando a dipingersi come coerentissima con le promesse di ieri.
Per ora correre lungo il doppio binario è stato facile. Giocano a favore della premier le circostanze eccezionali, il poco tempo a disposizione, persino la polemica delle opposizioni che hanno tutto l'interesse nell'attribuire al governo una radicalità di cui nella manovra spuntano in realtà solo pallidissime tracce. Di qui alla primavera il gioco di prestigio diventerà più difficile: arriveranno al pettine ritardi sul Pnrr, una crisi che imporrà di riprendere in considerazione ogni opzione a partire dallo scostamento di bilancio, la scelta non più rinviabile sulla ratifica del Mes. Giorgia Meloni dovrà decidere quale destra vuole incarnare d'ora in poi, sapendo che qualsiasi strada imbocchi, quella della destra istituzionale oppure antisistema, si lascerà dietro, nella sua stessa armata, insoddisfazioni e rancori.