Del jobs act - la riforma del diritto di lavoro da lui voluta quando era presidente del Consiglio e contestata dal maggiore dei cinque referendum ammessi dalla Corte Costituzionale. Matteo Renzi ha appena scritto e chiesto: «Quelli che dicono che vogliono stare nel Pd a tutti i costi che cosa fanno?». E ha aggiunto: «Schlein ha dato nuova linfa al Pd ma lo ha trasformato in un partito molto più di sinistra rispetto a Veltroni e al sottoscritto», tanto da sostenere l’abrogazione di quella riforma da lui ancora orgogliosamente rivendicata. «Questo - ha osservato l’ex premier, sempre a proposito della posizione abrogazionista assunta dalla segretaria del Nazareno scopre il lato più centrista. Insomma i riformisti devono pensare a un contenitore diverso dal Pd se vogliono questo spazio politico».

Ciò significa che i riformisti, appunto, appena ritrovatisi in convegni fra Milano e Orvieto, i primi di cultura e provenienza democristiana e i secondi di provenienza comunista o radicale, dovrebbero decidersi o a mettere su un’altra casa o cosa, dove magari ritrovarsi anche con Renzi, o fargli concorrenza nello spazio di centro. O infine, magari nella più prevedibile delle evenienze nell’immaginazione o nell’interesse dell’ex presidente del Consiglio, rimarranno dove sono, cioè nel Pd, del tutto legittimamente per occupare” non uno spazio politico ma «alcuni posti nelle liste elettorali la prossima volta», affollando stanze e corridoi del Nazareno dove si svolgono le trattative di questo tipo.

E intanto - ha avvertito Renzi nel suo quasi messaggio ad amici, conoscenti, concorrenti ed altri la premier Meloni continuerà ad allargarsi al centro, a scapito sia dei suoi alleati di centrodestra, particolarmente i forzisti di Antonio Tajani, sia dei suoi avversari del campo opposto. L’analisi sottintesa o derivante dai ragionamenti di Renzi, con o senza punti interrogativi, ha una sua indiscutibile logica. Ma finisce per contraddire obiettivamente la decisione da lui presa nell’estate scorsa, anche giocando a pallone con la Schlein in una partita e passandole la palla per una rete tuttavia annullata dall’arbitro, di rinunciare al progetto terzopolista proposto nel 2022 agli elettori con Carlo Calenda. E di proporsi per uno schieramento alternativo al centrodestra comprensivo di partiti o aree non compatibili con lui, come il Movimento 5 Stelle prima di Beppe Grillo e ora, o per ora, di Giuseppe Conte. Che inorridisce al solo sentire il nome di Renzi, il “conticida” celebrato letterariamente da Marco Travaglio scrivendo della successione a Palazzo Chigi dallo stesso Conte a Mario Draghi.

Concepita dalle opposizioni per sfasciare e/ o sconfiggere il governo, la prossima primavera referendaria dominata dall’assalto al jobs act, e non da quello impedito dalla Corte Costituzionale a ciò che è rimasto della legge sulle cosiddette autonomie differenziate dopo i tagli ch’essa le aveva già apportato, è così diventata una stagione più scomoda e rischiosa per le opposizioni che per la maggioranza. Che era ed è favorita d’altronde di suo dal fenomeno da tempo in crescita dell’astensionismo. Un fenomeno che sta all’istituto del referendum abrogativo come il diavolo all’acqua santa, essendo necessaria per la validità del risultato referendario la partecipazione alle urne della metà più uno degli elettori aventi diritto al voto. Cosi è se vi pare, piran-dellianamen-MAURO te.