Lunedì mattina, appena svegli, i due vicepremier, Salvini e Tajani, hanno avvertito entrambi l'imperiosa urgenza di far sapere al mondo, e in particolare all'Europa, che entrambi considerano l'indicazione di Raffaele Fitto come prossimo commissario europeo scelto dal governo italiano la migliore che si possa immaginare. Il giorno precedente Salvini era andato a trovare la villeggiante Giorgia in masseria, insieme avevano fatto un colpo di telefono a Tajani, anche lui vacanziero ma da tutt'altra parte d'Italia. La tempistica, la sincronia e l'enfasi delle dichiarazioni a sostegno di Fitto del leghista e dell'azzurro rivelano al di là di ogni possibile dubbio che si è trattato di una esposizione pianificata il giorno prima e molto probabilmente richiesta loro esplicitamente dalla premier.

Nelle stesse ore il forzista Fulvio Martusciello avvertiva che, per colpa dell'opposizione italiana, la battaglia sul commissario a Bruxelles e a Strasburgo potrebbe essere durissima. La conclusione si impone da sola: la premier ha chiesto agli alleati messaggi tanto netti da chiarire alla Ue che non potrà fare leva sul divisioni all'interno della maggioranza per far saltare Raffaele Fitto. Che la paura di un agguato europeo attanagli la premier è chiaro.

Lo sgambetto, dopo la pesante sconfitta nella nomina dei vertici e nel tentativo di spostare a destra gli equilibri europei, sarebbe per la premier italiana tanto penalizzante quanto umiliante. Resta da vedere però se si tratti di un rischio reale o solo di un fantasma che aleggia a Chigi. Il 30 agosto i governi dovranno indicare il loro commissario ed è una scelta che spetta solo a loro. Poi però i commissari indicati dovranno passare al vaglio dell'Europarlamento ed è già successo, segnatamente a Rocco Butttiglione, che il commissario indicato da un governo venisse poi affondato dal Parlamento. Ma questa non sembra una minaccia credibile per Fitto. Contro Buttiglione giocavano le sue posizioni su questioni come l'aborto, ritenute troppo integraliste per l'Europa. Contro Fitto non ci sono argomenti di peso che possano essere addotti per bocciare il suo nome. Un problema serio potrebbe essere in compenso quello dell'equilibrio di genere.

La presidente von der Leyen ci tiene moltissimo e nella scorsa legislatura europea era riuscita a formare una commissione di fatto paritaria, con 14 commissari maschi e 13 donne. Anche stavolta ha chiesto a tutti di indicare due nomi, uno maschile e uno femminile, in modo da poter comporre una commissione equilibrata come quella uscente. Non le ha dato retta quasi nessuno. Con il nome di un commissario maschio. Non è un problema formale né irrilevante. È probabile che la presidente si impunti e il guaio sarebbe grosso per fitto

dal momento che nel suo caso, a differenza ad esempio di quelli del francese Thierry Breton o del lettone Dombrovskis, non si tratta di una riconferma, via traversa che permette di aggirare l'imperativo della doppia indicazione, ma di una candidatura nuova di zecca. L'altro ostacolo è la scelta sulla delega da attribuire al commissario. Se la decisione sul nome spetta agli Stati, quella sulla postazione è nelle mani della presidente.

L'Italia, con Fitto, punta a un ministero economico ma sono molti i Paesi che mirano a una poltrona economica. Va da sé che se la presidente rifiutasse di assegnare all'Italia un commissario economico la candidatura di Fitto cadrebbe automaticamente. Sarebbe probabilmente lui stesso a rinunciare, come si è premurato di far sapere da subito. E' vero che la sola donna di cui si era parlato come possibile alternativa a Fitto, la diplomatica e responsabile dei servizi segreti Elisabetta Belloni sembra fuori gioco perché una candidatura tecnica quando tutti gli altri Paesi indicano dei politici suonerebbe debole. Ma è anche vero che in campo, sia pur con la dovuta discrezione, ci sarebbe anche la forzista Letizia Moratti. Probabilmente il pronunciamento richiesto agli alleati dalla premier serviva sì soprattutto a non esporre il fianco con crepe nella maggioranza ma anche a imbrigliare Tajani stoppando sul nascere eventuali fantasie di piazzare l'ex sindaca azzurra al posto dell'attuale ministro responsabile del Pnrr. Ma il problema, in ultima analisi, è politico.

La maggioranza di Bruxelles e la presidente von der Leyen devono decidere cosa fare con una leader che ha deciso di non decidere tra la vicinanza al Ppe e quella alla destra sovranista di Orban e, così facendo, ha scontentato e irritato tutti. Ursula von der Leyen deve scegliere tra il permettere alla premier che non la ha votata ma era stata per quasi due anni sua stretta alleata di salvare almeno la faccia o cercare di metterla con le spalle al muro per costringerla a fare quella scelta che ha evitato nello scorso luglio. È comunque più probabile che Bruxelles scelga la prima e più morbida opzione. Però non è detto.