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GIULIA PALMIGIANI
Francesco Spano, capo di gabinetto da 10 giorni al ministero della Cultura in sostituzione di Francesco Gilioli per decisione del neoministro Alessandro Giuli si è dimesso. Anche stavolta, come nel fattaccio estivo che portò alle dimissioni di Genny Sangiuliano, c'è di mezzo una storia di sesso, o quanto meno di identità sessuale. Anche stavolta il pettegolezzo, la notizia scoperta spiando dal buco della serratura, potrebbe essere stato decisivo.
«Il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali, non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero che è necessaria per svolgere questo ruolo così importante», ha spiegato un comprensibilmente molto amareggiato Spano. La vicenda è in parte nota e in parte coperta da una suspence costruita ad arte. Il versante già pubblico è la pessima accoglienza riservata a Spano dalla destra, militanti dirigenti e giornalisti d'area.
Il nuovo capo di gabinetto, gay e sposato con un uomo, è nel mirino per aver concesso finanziamenti pubblici nel 2017, in veste di capo dell'Unar, l'Ufficio governativo contro le discriminazioni razziali, a un'associazione Lgbt tra le cui attività ci sarebbero state anche i rapporti sessuali a pagamento. Il partito della premier si scandalizzò. Spano si dimise. Adesso è rispuntato grazie al neoministro e i Fratelli non hanno affatto gradito il ritorno. Le chat si sono arroventate. Molti dirigenti del partito si sono imbufaliti, in particolare La Russa, dal momento che Gilioli, il capo di Gabinetto sostituito da Spano, proprio al presidente del Senato faceva riferimento.
L'associazione Pro Vita & Famiglia ha lanciato una sottoscrizione per reclamare la sua cacciata. Il coordinatore di FdI nel Municipio IX della Capitale gli ha dato del pederasta in chat e ha definito "ignobili" le sue posizioni sul mondo e sui diritti Lgbt. Scoperto, avrebbe rassegnato tempestive e provvidenziali dimissioni. Giuli però ha resistito. Fino a quando non è spuntato il secondo lato della vicenda, quello ancora misterioso.
Sigfrido Ranucci, il conduttore di Report, ha annunciato succulento scoop sul ministero della Cultura, evocando lo scandalo dell'estate, il caso Sangiuliano-Boccia costato la poltrona all'ex ministro: «Ci sono altri due casi Boccia, stavolta al maschile». Ovviamente il conduttore di più non dice. Annuncio e mistero tirano a far impennare la audience domenica, calamitando gli spettatori che in estate non si erano persi una puntata della saga del ministro e della sua mancata consulente (gratuita).
Proprio questo sibillino annuncio spingerebbe Spano e Giuli a preferire la resa, cioè le dimissioni prima che la trasmissione vada in onda. I due versanti dell'affaire sono diversi e distinti. Entrambi molto inquietanti ma ciascuno a modo proprio. La levata di scudi contro Spano rivela la persistenza di ostilità e pregiudizio nei confronti dell'omosessualità nella destra italiana. Non è una novità. Tutti ricordano e ancora si sganasciano la battutaccia di Francesco Storaci quando in una radio romana gli chiesero, «France', dì qualcosa de destra». Risposta immediata: «Ah fr...!!!!!!». Naturalmente si può non essere d'accordo con le posizioni apertamente conservatrici della destra sulla famiglia, che tuttavia sono del tutto lecite. Ma una cosa è essere conservatori un'altra nutrire pregiudizi discriminatori.
Il confine è labile ma sembra proprio che nel caso in questione il corpaccione del partito tricolore lo abbia varcato. Ci sono pochi dubbi su cosa abbia determinato l'ostilità corale che alla fine ha costretto Spano alle dimissioni. L'aspetto collegato all'annuncio a orologeria di Ranucci però è altrettanto allarmante. Il caso che ha travolto Sangiuliano ha tenuto banco per settimane, campeggiando sui giornali e in innumerevoli talk show. I social ci sono andati a nozze. La politica non ha perso tempo nello sfruttare la scabrosa storia per reclamare la testa del ministro, il quale alla fine ha mollato e se ne è andato. Senza che a tutt'oggi sia chiaro se c'era davvero uno scandalo. Senza che nessuno sappia di cosa era accusato Sangiuliano, a parte una goffagine poco perdonabile. Sapremo solo domenica cosa ha in mano Ranucci ma il paragone da lui stesso accennato con il "caso Boccia" non depone a favore.
Potrebbe trattarsi di materiale davvero incandescente ma potrebbe anche essere un nuovo scandalo basato su fatti privati e personali da settimanale scandalistico, esattamente come nel caso Sangiuliano-Boccia. Al quale senza le dimissioni anticipate dell'ex capo di gabinetto sarebbe seguita una campagna di linciaggio mediatico che, sommata alla protesta del partito per la aborrita nomina, sarebbe stata comunque insostenibile. Se così fosse non si tratterebbe del modo migliore di fare politica. E neppure di fare informazione.