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Tajani e Salvini
La lista ufficiale dei parlamentari aderenti non è stata diffusa, ma oggi a Montecitorio la fondazione Einaudi presenterà la sua proposta di ripristino dell'articolo 68 della Costituzione. Che, in parole povere, significa chiedere che si torni all'immunità parlamentare, così com'era configurata prima del 1993, quando l'inchiesta Mani Pulite e la pressione dell'opinione pubblica portarono il legislatore a ridurre sensibilmente i casi per i quali i magistrati devono rivolgersi alla giunta per le autorizzazioni, per i procedimenti che riguardano i parlamentari. Ma è altamente probabile che nella sala stampa della Camera, accanto ai promotori di questa proposta, raccolti attorno al presidente della Fondazione Giuseppe Benedetto, oltre ad esponenti di FI e dei centristi dell'opposizione, possa trovarsi anche qualcuno della Lega.
A creare una situazione abbastanza inedita, in cui lo schieramento trasversale dei contrari al ritorno alla vecchia immunità vedrebbe Fratelli d'Italia dalla stessa parte del Pd (o almeno del suo gruppo dirigente), di Avs e del M5s. D'altra parte, i commenti che hanno fatto seguito alla proposta del deputato azzurro Tommaso Calderone, capogruppo di FI in commissione giustizia, di sostenere in Parlamento la richiesta della fondazione Einaudi, non lasciano dubbi. Mentre tutti i suoi compagni di partito si dicevano entusiasti e in un certo senso impazienti di riprendere in mano uno dei tanti contenziosi irrisolti con le toghe e il segretario Antonio Tajani faceva fatica a contenerne i la spinta propulsiva, opponendo il fatto di non aver parlato della questione con la premier, in casa del Carroccio si assisteva – forse imprevedibilmente – ad un entusiasmo analogo.
Tra i più espliciti nell'appoggiare il ritorno della piena immunità, Pietro Bagnai e Claudio Borghi, nelle cui parole è evidente il nesso tra il proprio punto di vista e la vicenda giudiziaria che ha interessato Matteo Salvini per il caso Open arms e ciò che sta accadendo a Giorgia Meloni e ad altri membri dell'esecutivo per l'affaire Almasri. «Se un'istituzione autorevole come la Fondazione Einaudi» , ha scritto Borghi, «fa una proposta di ripristino dell'art. 68 Costituzione non posso che essere interessato.
Se la illustreranno sarò certo presente per valutarla e appoggiarla se risponderà alla necessità di pace fra politica e magistratura». Più tardi, Borghi ha fatto un tweet ancora più esplicito in questo senso: «Ecco qui», ha scritto, «immigrati più mancanza di immunità parlamentare uguale legioni di denunciatori. Ripristinare subito l'articolo 68 della Costituzione». Bagnai, da parte sua, ha cercato di anticipare le critiche di chi potrebbe fargli presente che si tratta di argomento impopolare: «La proposta della Fondazione Einaudi, che semplicemente chiede di tornare all'equilibrio dei poteri previsto dalla Costituzione del 1948, non può essere liquidata appellandosi semplicemente alla pancia dell'elettorato, come stanno facendo, stranamente, proprio quei partiti che abitualmente rivendicano con orgoglio un ruolo esclusivo di eredi morali e intellettuali dei padri costituenti». Ma la voce più autorevole, in questo senso, è quella del sottosegretario leghista alla giustizia Piero Ostellari, il quale ha affermato di seguire «con attenzione la proposta della Fondazione Luigi Einaudi». «L'articolo 68 della Costituzione», ha aggiunto, «non ha nulla a che fare con i privilegi dei singoli, ma molto con la qualità della nostra democrazia. Per questo apprezzo un'iniziativa innanzitutto culturale, che merita di essere approfondita senza connotazioni di partito. Sia il Parlamento», ha concluso, «a valutare il percorso migliore per riequilibrare i poteri».
A fronte di questo asse FI-Lega ci sono i meloniani, che di tornare al vecchio articolo 68 non vogliono sentir parlare e che stanno spingendo affinché gli alleati tolgano il piede sull'acceleratore. Lunedì è stato il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Alberto Balboni, a frenare, mentre ieri il compito di ribadire il pensiero della presidente del Consiglio è toccato alla capogruppo di FdI in commissione Bilancio della Camera, Ylenia Lucaselli: «Non è nel programma elettorale», ha detto, «non è una priorità e non è all’ordine del giorno. Noi siamo concentrati sulle riforme sostanziali, da quelle di natura economica fino a quelle della giustizia». «Il nodo vero della giustizia italiana», ha proseguito, «è la separazione delle carriere, abbiamo già fatto il primo passaggio alla Camera con enorme soddisfazione.
Divagare da questo argomento significa distogliere l’attenzione da ciò che serve agli italiani». Insomma, i meloniani stanno assistendo con malcelata irritazione a questa imprevista battaglia, che vorrebbero togliere quanto prima dal tavolo, ma forse la maggiore fonte di preoccupazione giunge dal fatto che anche al loro interno non manca chi vorrebbe affiancare la fondazione Einaudi e gli azzurri. A partire dal ministro della Difesa Guido Crosetto, le cui posizioni in materia sono arcinote.