In un'indifferenza più provocata che casuale, nelle ultime ore dentro Fratelli d'Italia è caduto uno dei tabù che apparivano più duri a morire. In un'intervista concessa all'Avvenire e diffusa con grande impeto sui propri canali social, il deputato meloniano Andrea De Bertoldi ha affermato a chiare lettere che è arrivato il momento di togliere la fiamma tricolore dal simbolo del partito.

Il tema, come ben sanno gli addetti ai lavori, ha un andamento carsico: ogni tanto spunta e tiene banco per qualche giorno, poi si affievolisce fino a scomparire dall'agenda per lunghi periodi. La novità, stavolta, è che mentre la questione della cancellazione della fiamma dal simbolo di FdI (e in passato di An) era stata finora sollevata dai partiti di centrosinistra, stavolta la richiesta è arrivata da un eletto di Fratelli d'Italia. E con un pedigree inattaccabile, visto che De Bertoldi ha fatto tutta la trafila del militante storico di destra, iscrivendosi al fronte della Gioventù e poi ricoprendo ruoli di responsabilità prima nella sua provincia (Trento) quindi a livello nazionale.

Non si tratta, dunque, di un politico arrivato al partito di Meloni da altre esperienze, di quelli sempre pronti a capire da che parte tira il vento per potersi riposizionare nel posto giusto al momento giusto. Anche perché, di solito, questo tipo di prese di distanza si fanno sul finire della legislatura, quando un parlamentare ha compreso che non sarà ricandidato e si industria per trovare il modo di restare tra gli eletti. E soprattutto, sondaggi alla mano, prendere le distanze da FdI in questa fase costituirebbe una scelta al limite dell'autolesionismo.

Le dichiarazioni di De Bertoldi fatalmente interrogano la leader del partito e del governo, visto che l'ultima volta che la querelle sulla fiamma era finita sui giornali, questa aveva risposto indirettamente decantandone le lodi di fronte ad alcuni studenti, spiegando che questo rappresenta il legame con la storia della destra italiana e che quindi non ha intenzione di toglierlo dal simbolo del suo partito.

Dopo, però, c'è stata l'inchiesta di Fanpage con tutto il polverone che ne è seguito: il tentativo della premier di rovesciare la frittata accusando la stampa di scorrettezza, e il successivo dietro-front, con la lettera indirizzata ai vertici del partito in cui si chiedeva tolleranza zero verso i nostalgici del fascismo e gli antisemiti. La parte più incisiva delle parole di De Bertoldi riguardano proprio questa vicenda, da cui deriva la richiesta di «andare oltre la fiamma»: «Se davvero vogliamo essere un partito conservatore, liberale, democratico, che guarda al futuro si dovrebbe consegnare alla storia l'icona della destra storica». Una considerazione, come detto, che muove dai contenuti della lettera di Meloni al partito: «Penso ci sia stata una certa sottovalutazione di questi fenomeni, non solo nel mio partito. Servono prese di posizione nette, senza ambiguità verso ridicoli e patetici emuli di un passato regime, da cui FdI deve continuare a dichiararsi lontana». «Queste persone», ha concluso, «vanno allontanate, ma sono critico anche verso chi ha fatto finta di non vedere girandosi dall'altra parte, e magari ha flirtato con loro per qualche preferenza in più».

Ma c'è di più, perché per De Bertoldi l'accantonamento della simbologia della destra post-fascista nata col Movimento Sociale deve essere l'abbattimento dell'ultimo diaframma per entrare compiutamente nella “maggioranza Ursula”, dalla quale invece la premier si tiene ben lungi, come testimonia il voto per la rielezione della presidente della Commissione.

La reazione dei vertici del partito alle sue parole, per il momento, è stata a dir poco fredda. I parlamentari e i dirigenti contattati dal nostro giornale non hanno voluto commentare e, in alcuni casi, hanno manifestato un certo fastidio. De Bertoldi, invece, torna con noi più diffusamente sulle sue parole e tiene anche a dirci che «nei partiti ci dovrebbe essere molta meno paura di dire cose che non piacciono al Capo. Noto che in FdI c'è molta paura di dire la propria, una paura che non c'era i tempi di An. Io dico che è una questione di coerenza: se vogliamo essere davvero quel partito che guarda in faccia i moderati e i liberali, non possiamo mantenere iconografie con altro significato. Mi sento anche un difensore del valore storico del simbolo, perché non voglio trascinarlo nella polemica politica dozzinale».