Tre paesi diversi, ma lo stesso risultato politico: l'estrema destra ottiene risultati brillanti alle elezioni, talvolta diventa anche primo partito, ma vede un muro invalicabile tra se stessa e il governo della nazione. E' accaduto in Francia, quindi in una regione della Germania, e ora anche in Austria. I giornali di tutta Europa, ieri parlavano della straordinaria affermazione della Fpö, il partito xenofobo fondato anni fa dal defunto Joirg Haider e portato in cima alle preferenze degli elettori austriaci da Herbert Kickl.

Tutte le analisi convergono su un punto: il responso delle urne è l'ennesima conferma di un sensibile spostamento a destra del Vecchio Continente e come tale è un ulteriore campanello d'allarme, ma nel paese alpino non c'è un rischio immediato di vedere le forze più estremiste insediarsi nella cancelleria di Vienna. Un copione che ricalca quanto accaduto a Parigi tra giugno e luglio scorsi, allorquando l'exploit alle Europee del Rassemblement National dell'accoppiata Le Pen- Bardella aveva fatto pensare all'approdo di questi ultimi a Matignon. E invece, la scommessa dell'inquilino dell'Eliseo Emmanuel Macron, che aveva sciolto le camere e indetto elezioni legislative a strettissimo giro, si è rivelata vincente, proprio a partire da una considerazione che si rivela corretta anche in Austria. I voti dell'estrema destra non sono spendibili, poiché nessuna delle forze liberali dei rispettivi paesi è disposta ad allearsi coi i partiti che la rappresentano.

A Parigi la narrazione dell'emergenza democratica ha funzionato, tanto da resuscitare il benemerito Fronte Popolare e la gauche plurielle, lesta a dividersi nuovamente ( all'italiana) dopo aver sbarrato il passo ai fachos. Ma anche se dalle Poliche Le Pen e soci fossero usciti come lista col maggior numero di seggi, sarebbe stato impossibile per loro portare a casa una maggioranza, potendo contare solamente su una manciata di deputati republicains facenti capo a Eric Ciotti. Allo stesso modo, a Berlino e a Vienna la strada per il governo federale e nazionale è praticamente impercorribile per i partiti di Weidel e Kickl (che pure è stato ministro, evidentemente senza rendersi accettabile dai moderati), così come lo sarebbe, semmai arrivasse a percentuali più alte, per André Ventura a Lisbona, considerando l'olandese Geert Wilders l'eccezione che conferma la regola,.

Ed è proprio su questo terreno, che l'Italia ha sempre rappresentato un'eccezione ( positiva o negativa a seconda dei punti di vista) e non a caso il nostro paese si è guadagnato il riconoscimento di laboratorio politico tra i più avanzati nel mondo occidentale. Da noi – unici in Europa – il partito più a destra dell'emiciclo, quando è diventato il partito di maggioranza relativa, ha potuto rivendicare il governo del paese senza cataclismi o moti di piazza (a parte le legittime polemiche del caso) per una ragione fondamentale: il suo gruppo dirigente era già stato legittimato molti anni or sono da un'esperienza di governo come forza subalterna, che a sua volta si era potuta verificare perché un leader di una liberale si era prodigato per traghettare i post- fascisti in quello che una volta si chiamava “arco costituzionale”.

Un'operazione non certo filantropica, quella di 30 anni di Silvio Berlusconi, che aveva bisogno di mettere assieme tutto ciò che si opponesse all'arrivo a Palazzo Chigi del centrosinistra guidato dal segretario del Pds Achille Occhetto, ma un'operazione che, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, ha inserito nell'alveo democratico una forza nata come antisistema e antidemocratica. Una rappresentante di quella forza è potuta diventare presidente del Consiglio in virtù di ciò che Berlusconi in versione “federatore” mise a punto tra la fine del 1993 e il 1994, e lo ha fatto dopo aver ricoperto la carica di vicepresidente della Camera e di ministro, proprio negli anni in cui il Cavaliere era premier.

C'è un filo (non rosso in questo caso, per evidenti motivi) che lega il famoso endorsement di Berlusconi a Casalecchio a favore di Gianfranco Fini, allora segretario del non disciolto Msi, agli applausi tributati dalla platea del Global Citizen Award a New York alla nostra presidente del Consiglio, o alla concessione da parte di Ursula von der Leyen ai Conservatori di una vicepresidenza della Commissione europea, oltre che di una vicepresidenza dell'Europarlamento.

L'eccezione italiana risulta evidente anche dal fatto che nelle ultime ore due forze contrapposte a Bruxelles stianno ferocemente polemizzando sul risultato austriaco, ma che le stesse forze non mettano in discussione la loro leale collaborazione nel governo italiano. Che si tratti di un'eccezione di cui andare fieri o meno, spetterà agli analisti dirlo al momento giusto, quando le bagarre della contingenza si saranno placate.