Con scarsa fantasia, in moltissimi hanno applicato al Piano Mattei presentato in gran spolvero al Senato la metafora della “scatola vuota”, corretta a volte nello “scatolone di sabbia”, definizione com'è noto applicata alla Libia quando ancora non si sapeva cosa ci fosse sotto quella sabbia. Anche a proposito di questo Piano per l'Africa conviene chiedersi cosa c'è, o cosa può esserci sotto. O, più prosaicamente, quali partite e su quali tavoli gioca la premier italiana.

Che lo scatolone al momento sia vuoto è un fatto. I 5,5 miliardi stanziati dall'Italia sono una goccia nell’oceano e oltretutto lo stesso stanziamento sembra in parte un bluff: i fondi, quello per il Clima, da cui verranno ricavati 3 miliardi, era infatti già stato deciso da Draghi nel 2022. Ma questi sono davvero particolari. La nota dolente è che l'Italia non solo non ha ma neppure avrà i soldi necessari per tradurre le ottime intenzioni, perché senza dubbio di questo si tratta, in progetti sonanti. Il Piano Mattei può decollare solo se l'intera Unione lo fa proprio e al momento, applausi scroscianti e riconoscimenti formali a parte, non sembra aver intenzione di farlo.

La stessa Ursula von der Leyen, che pure è apparsa la più entusiasta, tuttavia ha trovato modo di specificare che l'Unione ha già un suo progetto in materia. I capi di Stato, quelli che hanno davvero voce in capitolo sono gelidi. In conclusione, se la si considera come una partita a breve termine, le chances dell'Italia sono vicine allo zero. Una sfida di questo genere, però, non si può misurare a breve, nell'arco delle settimane o dei mesi, ma abbisogna invece di anni. Meloni considera di avere quindi tre carte offerte dalla dura realtà dei fatti da giocare. La prima è quella conclamata, l'immigrazione. L'idea della destra di sostituire in toto l'accoglienza con un intervento alla fonte è certamente una chimera, dal momento che le migrazioni, fenomeno epocale di immensa portata, non si fermeranno. Però è altrettanto certo che senza interventi drastici tesi almeno a limitare l'esodo non sarà possibile neppure provare a governare il fenomeno. In secondo luogo, l'aspetto principale del Piano per l'Africa non è al momento il controllo dell'immigrazione ma, come segnala Prodi, il rifornimento energetico, problema che in un clima di crescente destabilizzazione mondiale è destinato a diventare probabilmente sempre più prioritario per l'Unione. Infine, dopo aver passato decenni in stato sonnambolico, l'occidente, e al suo interno l'Unione, ha scoperto di dover contrastare la presenza e il controllo dell'Africa di Cina e Russia. Missione difficilissima sia perché il ritardo è quasi incolmabile sia perché sui Paesi europei pesa l'ombra del passato coloniale.

Sono questi gli elementi che, nel medio periodo, spingono la strategia dell'Italia e sono elementi pesanti anche se non bastano a controbilanciare le resistenze sia in Europa che in Africa e non è affatto detto che basteranno in futuro. Ma non è neppure già detto che non bastino. Di certo però nulla si muoverà fino alle prossime elezioni europee. Macron, tanto per fare un esempio, non può appoggiare una strategia impostata da un governo di destra i cui risultati avvantaggerebbero in patria i nemici del Rassemblement National.

Molto dunque dipenderà dal quadro e dagli equilibri che le urne del 9 giugno, ma anche i giochi politici immediatamente successivi, determineranno in Europa. Se l’asse tra l’area del Ppe di Mafred Weber e quella dei Conservatori di Meloni uscirà vincente o meno, cementata dalla conferma alla presidenza di von der Leyen o meno è un elemento centrale, anche perché determinerà in buona misura il peso specifico della premier italiana in Europa. Da questo punto di vista il successo diplomatico, effettivo anche se puramente formale, dell'iniziativa di Roma sull'Africa è comunque un passo positivo per l'inquilina di palazzo Chigi. Altrettanto determinate sarà verificare nei voti reali e non nei sondaggi