La Lega propone il tetto ai compensi Rai, il Pd accoglie e fa proprio l'emendamento, il Movimento cinquestelle se lo intesta. La confusa sequenza va in onda nell'Aula di Palazzo Madama, durante l'esame della legge di riforma dell'editoria. Passa dunque una soglia massima di 240mila euro per tutti gli stipendi del "soggetto affidatario della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale", impervia locuzione che significa semplicemente "la Rai". Tetto che vale «per tutto il personale e i consulenti, nessuno escluso», scandisce Francesco Verducci, senatore renziano che è anche vicepresidente della Vigilanza. Un colpo a «quelle retribuzioni attribuite spesso anche a chi non svolge più i compiti per cui erano state riconosciute». E d'accordo. Ma è la genesi dell'emendamento, a prima firma del relatore dem Roberto Cociancich, a far discutere. Perché non risponde a un impulso spontaneo del Pd quanto alle spinte dell'opposizione. «Ritengo che il testo possa raccogliere le sensibilità espresse in Aula a cominciare da quella leghista, rappresentata dal senatore Calderoli», dice proprio Cociancich. Il vicepresidente lumbàrd di Palazzo Madama era riuscito poche ore prima a far passare un emendamento simile, che riduce il contributo pubblico a quei giornali i cui vertici guadagnano più dei fatidici 240mila euro. Martedì la presidente della I commissione Anna Finocchiaro si era detta perplessa, perché «rischiamo di creare un precedente per tutte quelle aziende private che pure, in altri campi, ricevono fondi statali». Perplessità superate, che hanno aperto la strada anche allo limite per i superstipendi Rai. Ma la sensazione è che il Pd sia salito sul carro di Calderoli per non vedersi sorpassato a sinistra da quello grillino. Non a caso alla fine il senatore Alberto Airola, capogruppo cinquestelle in Vigilanza, controfirma l'emendamento e quasi se lo intesta: «Finalmente il Pd si è convinto, lo chiedevamo da tempo».