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È vero: sulla giustizia, l’orizzonte del governo non sempre coincide con le ambizioni del ministro che, della Giustizia, è titolare, cioè Carlo Nordio. Di più: spesso il garantismo professato, soprattutto prima di assumere l’incarico, dal guardasigilli confligge con le scelte dell’Esecutivo: basti pensare alla riforma dell’ergastolo ostativo – approvata a inizio legislatura in una chiave anche più follemente restrittiva di quanto non avessero proposto i 5 Stelle quand’erano in maggioranza – o agli inasprimenti di pena previsti da decreti come quello intitolato alla derelitta Caivano. E però, nella giustizia del governo Meloni, come sempre in politica, ci sono le sintesi. E sulla giustizia, le sintesi ora devono tenere conto di un fattore imprescindibile: Forza Italia. Era stata Forza Italia, per esempio, a trasformare in una mini- abrogazione della spazzacorrotti il decreto 105, nato per estendere ai reati non associativi le norme antimafia sulle intercettazioni. Ed è Forza Italia, adesso, a strappare, nella capigruppo di Montecitorio, la calendarizzazione in Aula per la separazione delle carriere. Ebbene sì: il 25 marzo, tra meno di un mese, il “divorzio” fra giudici e pm dovrebbe andare al voto. Lo annuncia, soddisfatto, il capogruppo degli azzurri alla Camera Paolo Barelli: «Come avevamo promesso, alla Conferenza dei capigruppo abbiamo chiesto e ottenuto la calendarizzazione per la riforma sulla separazione delle carriere: sarà nel calendario dell’Aula di Montecitorio a partire dal 25 marzo», appunto. Prosegue Barelli: «Con questo atto, Forza Italia intende accelerare l’approvazione di una riforma fondamentale, che è parte del programma di governo e che ha già scontato un lungo percorso di audizioni in commissione Affari costituzionali, anche perché l’iter parlamentare sarà lungo, in virtù dei quattro passaggi previsti dalla Costituzione». Detto, fatto.
Un colpo di reni così inatteso che uno dei principali sponsor parlamentari della riforma, il deputato e responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, già fissa le quote del flop: «Lunedì 25 marzo è previsto l’approdo in Aula alla Camera della nostra proposta di legge costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati. Entro quella data, la commissione Affari costituzionali dovrà licenziare il testo. Sono sicuro che il governo proverà a rinviare».
E in effetti è difficile scommettere contro Costa, in proposito. Ma il fatto che da Palazzo Chigi potrebbero chiedere di andarci piano vuol dire poco: lo insegnano appunto le precedenti occasioni in cui un indirizzo che, sulla giustizia, pareva ineluttabilmente restauratore, è stato reso “progressista” dalle insistenze degli azzurri.
L’iter della separazione delle carriere è, come ricordato da Barelli, a uno step relativamente avanzato: lo scorso 30 gennaio si è concluso il lungo ciclo di audizioni, durato quasi un anno pieno, considerato che l’avvio risale addirittura al 13 febbraio 2023. Lo scorso 21 febbraio, il presidente della commissione Affari costituzionali Nazario Pagano, anche lui di FI, ha aperto la discussione generale sulla riforma, che prelude al voto sugli emendamenti. Un pro forma, perché nessuno ha chiesto la parola, in attesa del previsto passaggio in cui Barelli avrebbe sollecitato la calendarizzazione della riforma. La data ora c’è. È ravvicinata. E come ricorda Costa, per allora, cioè da qui a poco più di tre settimane, la legge costituzionale sui magistrati dovrà essere licenziata dalla Prima commissione, con tanto di mandato al relatore, che è lo stesso presidente Pagano. Mission impossible? In teoria sì, considerato il ripetuto avviso dello stesso Nordio: “La separazione delle carriere si farà, ma in tempi successivi al premierato”. Ma intanto le trattative sul premierato sono ancora sospese al tavolo politico fra i tre leader del centrodestra: Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani.
Due giorni fa, sul ddl costituzionale Casellati, considerato dalla premier “la madre di tutte le riforme”, si sarebbe dovuto procedere al voto degli emendamenti nell’altra commissione Affari costituzionali, quella del Senato. Non se n’è fatto nulla per l’indisposizione di Alberto Balboni, presidente dell’organismo di Palazzo Madama e relatore della riforma istituzionale. Nel caso delle carriere separate, invece, non ci sono accordi da trovare né limature al testo da approfondire: già c’è l’intesa fra lo stesso presidente-relatore Pagano e i deputati firmatari dei ddl sulla separazione, vale a dire lo stesso Costa ( che però non fa parte della Prima commissione di Montecitorio e “delega” un’altra deputata di Azione, Mara Carfagna), Roberto Giachetti di Italia viva ( a sua volta rappresentato da Maria Elena Boschi), Tommaso Calderone di FI ( per la quale, con Pagano, sono in trincea lo stesso Barelli e Paolo Emilio Russo) e Jacopo Morrone della Lega ( che in commissione Affari costituzionali schiera una delegazione di 5 deputati capeggiata da Igor Iezzi).
L’intesa prevede un testo base che conserva l’impalcatura essenziale della riforma – cioè due concorsi separati, uno per giudici e un altro per la magistratura requirente, e due distinti Csm, con proporzione laici-togati diversa dall’attuale organo unico – ma rinuncia alla modifica dell’articolo 112 della Costituzione che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale. Il testo originario sulla separazione è la legge d’iniziativa popolare presentata già nel 2017 dall’Unione Camere penali e corroborata da qualcosa come 74mila firme: lì è previsto di modulare per legge ordinaria “i modi per l’esercizio obbligatorio dell’azione penale”. È una parte di riforma accantonata, in base all’accordo già trovato, appunto, tra i deputati- proponenti, anche perché la riforma penale di Cartabia ha già mitigato quel principio con la fissazione dei criteri di priorità in capo alle Procure in una cornice generale definita proprio dal Parlamento.
Insomma, diversamente da quanto avviene con il premierato, per la separazione delle carriere non resta ormai nulla di rilevante da definire: la doppia navetta per modificare la Costituzione potrebbe consumarsi in tempi relativamente brevi. Ma c’è un ma: il convoglio sul divorzio giudici- pm non può arrivare a destinazione prima del premierato. La leader del governo e di FdI vuole evitare, comprensibilmente, che gli inevitabili referendum sulle due riforme costituzionali si incrocino: gli elettori scettici sulle carriere separate non devono trasformarsi in voti contrari al premierato. E qui il pronostico di Costa tornerebbe a farsi profezia. Se non fosse per quelle parole di Barelli, e per quelle altre pronunciate una settimana fa al congresso di FI non da un azzurro qualunque ma da Francesco Paolo Sisto, che a via Arenula riveste carica di viceministro: «La separazione delle carriere va in Aula, la portiamo in aula. Quando ci si chiede se si farà, dico che la faremo: il cittadino, quando varca la soglia di un tribunale, deve sapere che c’è un giudice terzo e imparziale, che decide in modo assolutamente equidistante dal pm e dalla difesa. Questi sono principi per cui Silvio Berlusconi si è lungamente battuto, in virtù di un’esperienza drammatica: non dimentico mai quando raccontava il numero dei processi subiti, le centinaia di perquisizioni, le mille ore passate a studiare migliaia di pagine». E il punto è che a questi benedetti forzisti potete chiedere tutto, ma non di tradire le sofferenze subite in vita dal loro capo.