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Nei nuovi panni di leader responsabile, Luigi Di Maio continua a bacchettare i suoi ex compagni di partito, considerati nemici giurati della stabilità. E con una doppia intervista, alla Stampa e al Messaggero, il ministro degli esteri punta il dito contro l'ex premier Giuseppe Conte, ritenuto responsabile di un lungo elenco di disastri al quale il Paese andrebbe incontro in caso di fine anticipata della legislatura. Se il premier Mario Draghi mercoledì dovesse confermare le dimissioni, dice Di Maio al quotidiano torinese, sarebbero venti «le cose che stanno per saltare. Il Pnrr, il salario minimo e il taglio al cuneo fiscale, che non si fanno più perché con l’esercizio provvisorio non si possono fare. E poi l’intervento sul caro-bollette e sul caro-benzina, gli accordi sul gas che non si potranno più firmare, i bonus di 200 euro che non si possono rinnovare, il tetto massimo al prezzo del gas che salta perché non riusciremo a incidere ai tavoli internazionali. Il che vale anche per la riforma del patto di stabilità, che sarà discussa a fine anno. E poi la riforma delle pensioni, che non si può affrontare e anzi senza Draghi che tiene a bada lo spread ci sarà bisogno di una legge restrittiva sul modello Fornero», è lo scenario devastante disegnato dal ministro degli Esteri che già basterebbe a terrorizzare chiunque. Ma non finisce qui: «Aumenteranno i tassi dei mutui per comprare casa. Salterà qualsiasi riforma dell’Irap e per le semplificazioni. Non potremo contrastare l’inflazione riducendo l’Iva sui prodotti di prima necessità, riformare gli enti locali, portare in fondo il ddl concorrenza, che è uno degli impegni Pnrr. Così come la riforma del fisco. E dimentichiamoci il Superbonus perché non lo rifinanziamo e non potremo sbloccare il credito, gettando sul lastrico molte aziende. Anche la siccità sarà un problema delle imprese e degli agricoltori, che saremo costretti a lasciare soli», insiste l'ex capo politico del Movimento 5 Stelle. Che poi avverte le forze politiche di maggioranza e in particolare molti dei suoi ex colleghi di partito, preoccupati dall'eventuale perdita anticipata del seggio: «Se le cose restano come sono oggi, Mario Draghi mercoledì rassegnerà le sue dimissioni davanti al Parlamento. E tra giovedì e venerdì, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scioglierà le Camere». Come dire: cari grillini pensateci bene prima di seguire il vostro leader verso il baratro. Ma è sul Messaggero che Di Maio lancia le accuse più pesanti a Giuseppe Conte e offre ai parlamentari pentastellati elementi d'analisi per convincerli ad ammutinarsi. «Il vero obiettivo di Conte è andare a elezioni per azzerare il gruppo parlamentare e non ricandidare il 99 per cento dei deputati e dei senatori uscenti. Tanto più che alle elezioni andranno malissimo», dice l'inquilino della Farnesina, sicuro che il partito di Conte che non abbia «più nulla a che vedere con il Movimento 5Stelle». È un partito che «il 20 giugno ha ricevuto l’endorsement dall’ambasciatore russo a Roma sulla bozza di risoluzione che indicava la linea italiana sull’Ucraina». E aggiunge malizioso: «Non ho certezze che vi sia una regia russa dietro la crisi. Ma sono sicuro che Putin, come ha detto Borrell, lavori per destabilizzare l’Italia e l’Europa. Non a caso qualcuno a Mosca ha brindato quando Draghi si è dimesso, basta guardare al post di Medvedev». Dietro la spallata a Draghi che «sta regalando il Paese all’estrema destra», dice Di Maio in versione campo largo, c'è «una vendetta politica» di Conte: «Ancora non si dà pace per non essere riuscito a restare a palazzo Chigi. Ma ciò conferma che il partito di Conte non è il M5S: noi siamo nati per andare al governo, fare le riforme e provare a cambiare il Paese, invece Conte è il picconatore dell’esecutivo. E, facendo così, attenta alla sicurezza economica e sociale dell’Italia».