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La premier Giorgia Meloni in India
Il muro della maggioranza intorno al ministro Piantedosi, per respingere la richiesta di dimissioni avanzata per una volta dall'intera opposizione, era inevitabile. Lasciare aperto anche solo un piccolo varco avrebbe comportato l'esplosione di tensioni interne alla destra potenzialmente incontrollabili. La solidarietà, tuttavia, è stata espressa con diverse ed eloquenti gradazioni d'intensità.
La Lega, che considera Piantedosi un proprio ministro, alter ego di Salvini, è stata ferrea, accusando l'opposizione di voler mettere sotto processo il ministro e la guardia costiera al posto dei trafficanti. FdI si è prodigata in elogi per il ministro confermando però la posizione assunta subito dal presidente della commissione Affari costituzionali Balboni e ripresa poi dal ministro Lollobrigida: Piantedosi non si tocca, è bravo, bravissimo, eccezionale. Però è bene che la dinamica dei fatti venga accertata. I Fratelli spiegano che l'insistenza sulla necessità di chiarire le cose è necessaria per impedire che le opposizioni strumentalizzino la tragedia ma sta di fatto che martellare sulla necessità di andare a fondo della vicenda, invece di limitasi come da manuale al classico “lasciamo lavorare la magistratura”, significa ammettere che qualcosa può non essere andato come doveva. Fi difende la posizione assunta dal governo, “la scelta del rigore”, ma sul caso specifico glissa.
Giorgia Meloni sembra abbia preso malissimo il primo intervento di Elly Schlein da segretaria del Pd. Però più per l'accusa di reticenza rivolta a lei personalmente che non per la richiesta di decapitare il ministro.
A palazzo Chigi quella richiesta corale delle opposizioni, in realtà politicamente obbligatoria, è criticata per diversi motivi: tra i quali non manca la segnalazione che così facendo l'opposizione costringe tutta la destra a blindare Piantedosi.
Significa che senza l'incalzare dell'opposizione il ministro sarebbe stato a rischio? Ovviamente no. Significa piuttosto che senza la carica delle opposizioni, forse, sarebbe stato più facile per Meloni prendere le distanze dai toni adoperati, e poi rimangiati per finta, da Piantedosi.
La realtà è che sul nodo cruciale e identitario delle politiche dell'immigrazione la destra al governo non parla affatto la stessa lingua, o meglio non la parla più, e lo scarto più clamoroso, pur se ancora sotto pelle, è proprio tra i due partiti che un tempo sembravano attestati su una linea identica: FdI e la Lega. Salvini, da ministro, aveva puntato su un'immagine ringhiosa e spietata messa teatralmente in scena con il blocco delle navi. Non è cambiato molto e quell'impostazione si riflette negli atteggiamenti e nelle formule comunicative di Piantedosi.
All'epoca Meloni giocava a presentarsi come più dura del durissimo Matteo, parlava di navi da affondare e blocchi navali. Le cose sono cambiate, certamente sul piano del calcolo mediatico ma un po', forse, anche nella sostanza. Ora l'immagine che la premier vuole proiettare non è feroce ma empatica, non più ostile ma pragmatica, comunque non gelida: “Questo non è un governo cinico”.
La lettera che ha inviato ai vertici della Ue, e che dovrebbe portare alla messa all'odg del problema nella riunione del Consiglio europeo del 23- 24 marzo, è accorata e partecipe. I toni non sono solo diversi ma opposti rispetto a quelli abituali dell'alleato e padrino del ministro degli Interni. C'è di mezzo l'immagine in Europa, e certo la leader in corsa per una piena legittimazione non ci tiene a passare per feroce xenofoba. Ma c'è anche di più: l'esito della crisi del Pd, la segreteria Schlein, può riportare al mercato della politica milioni di elettori “moderati” e spaventati dal “radicalismo” della nuova segretaria. Non è detto che le cose vadano così ma di certo è possibile. Quella massa di elettori non può essere attratta dall'immagine truculenta che sfoggia il capo leghista: ne è anzi allontanata. Quegli elettori Giorgia Meloni li vuole per sé.
Ma forse il discorso è anche più profondo: uscita dalla campagna elettorale, a differenza del Salvini del 2019, la leader di FdI è passata dal comiziaccio al pragmatismo. Spera in una soluzione che coinvolga l'intera Ue e quella che ha messo nero su bianco nella lettera alla Ue è meno ferrigna del previsto: corridoi umanitari per i profughi, quote di immigrati legali per tutti gli altri con gestione europea. É una strada che può portare, passo dopo passo, a superare una volta per tutte la Bossi- Fini. Gli ufficiali FdI si uniformerebbero senza alcun dubbio: devono troppo alla premier anche solo per sussurrare dubbi. Fi non punterebbe i piedi: con Salvini significherebbe invece un salto nel buio.