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La vicenda della nave Diciotti si sta aggrovigliano sempre di più.
Il ministro dell’Interno Salvini sembra rimasto, quasi solo, sulla linea dura. Cioè sul divieto di sbarco. Però la sua posizione da tre giorni è vincente. Può darsi che nelle prossime ore ceda, ma al momento ha tenuto testa alle proteste dell’Europa, della magistratura minorile ( che ritiene illegale non dare ospitalità ai minorenni), dell’opposizione, di una parte ( seppur non prevalente) del giornalismo, di Saviano e persino di un pezzo del Movimento 5 Stelle guidato dal presidente della Camera Roberto Fico.
Qual è il tema al centro della contesa? Certamente un tema è quello dell’immigrazione. Ma non è l’unico. In tutta la discussione appare continuamente l’altro tema di fondo, che è quello dei diritti. L’Europa, la magistratura, l’opposizione e lo stesso Roberto Fico pongono quella questione lì: i diritti. E la domanda che campeggia è questa: in che modo rendere compatibili le posizioni del governo sull’immigrazione con alcuni principi generali, e cioè con il diritto e i diritti? Emergenze e stato di diritto: se non ci fossero gli avvocati...
Da diversi anni in Occidente, dopo una lunga stagione nella quale i diritti ( e lo Stato di diritto) hanno sempre guadagnato posizioni, c’è un arretramento. Negli ultimi quarant’anni del secolo scorso la difesa e lo sviluppo dello Stato di diritto era stata la bandiera dei paesi democratici. Civiltàuguale- diritti. Non si discuteva questo postulato. Sicuramente, spesso, i diritti venivano violati ( anche in Italia è stato così, per esempio durante la lotta al terrorismo) ma non in modo aperto e dichiarato. Lo si faceva in forma nascosta, violando la legge e sfidando l’opinione pubblica.
Poi a un certo momento ( soprattutto all’inizio di questo secolo, aperto dalla terrificante giornata dell’ 11 settembre) il postulato si è invertito. E’ diventato: civiltà- ugualeemergenza.
L’idea dell’emergenza è diventata la nuova categoria politica prevalente, il deus ex machina di fronte al quale tutto il resto doveva inchinarsi o sparire. Emergenza- terrorismo, emergenza- mafia, emergenza- sicurezza, emergenza- rom, emergenza- immigrazione, eccetera eccetera. Si è aperta una lotta tra emergenza e stato di diritto. L’emergenza prevedeva la sospensione dello Stato di diritto. E in questa lotta i difensori dello Stato di diritto sono rimasti pochi pochi.
Tra essi gli avvocati. Che stanno pagando un prezzo molto alto a questa loro posizione. Guardiamo solo a quello che succede qui in Italia. Negli ultimi mesi, sul nostro giornale, almeno dieci o venti volte vi abbiamo raccontato dei casi nei quali il ruo- lo e le responsabilità degli avvocati venivano associate a quelle dei loro assistiti, in un’opera di criminalizzazione che non ha riguardato solo le frange più estreme e giustizialiste della società, ma la gran parte del giornalismo e dell’intellettualità. Il titolo - per fare un esempio - “Gli avvocati pagati dai mafiosi” si è ripetuto molte volte, in molti giornali, e tra questi anche grandissimi giornali nazionali, democratici, laici, liberali.
Com’è possibile? E’ possibile perché la parte più grande del nostro mondo politico e della nostra intellettualità vede nella “semplificazione” la chiave di volta del futuro e della modernità. Semplificazione - secondo loro - vuol dire modernità. Società complessa vuol dire conservazione e privilegio. Chiaro che in questo modo di pensare lo Stato di diritto non è più una conquista ma un fastidio.
Ancora in questi giorni abbiamo assistito, su un altro piano, a qualcosa di simile. Alcuni avvocati si sono gettati a pesce sulla tragedia di Genova, cercando di trarne qualche profitto, in notorietà, in popolarità. Si sono offerti di assistere gratuitamente i cittadini, violando la legge professionale. Non per un atto di solidarietà ( per la solidarietà l’Ordine degli avvocati ha aperto gli sportelli di consultazione gratuita, che è una cosa assolutamente diversa, ed è ben regolata, e impedisce ai professionisti che vi partecipano di accettare poi un incarico da chi li ha consultati). Non era solidarietà: era mercato. Beh, questi avvocati ( molto pochi) non hanno trovato nessun ostacolo, né nella politica e, naturalmente, nemmeno nel giornalismo e nell’opinione pubblica. Nessuno nella politica o nel giornalismo ha denunciato questa speculazione. Hanno trovato opposizione solo nella stessa avvocatura, che si è mossa compatta - molto compatta - contro questa opzione. Ha richiamato la legge professionale, la deontologia, l’etica. E ha spiegato che senza avere niente di niente contro il funzionamento del mercato ( ciascuno, tra gli avvocati, ha e si tiene le sue legittimissime idee politiche) ritiene tuttavia che il mercato non possa governare la professione. La professione dell’avvocato è funzionale e decisiva per lo Stato di diritto. Ne è l’anima e il pilastro. Strapazzare questa professione, commercializzarla, porla al di sopra dell’etica e al di sotto della legge della concorrenza, equivale a stravolgerla e a stravolgere, con lei, lo stesso Stato di diritto.
L’avvocatura è stata compatta su questa linea. Dimostrando di esistere in quanto avvocatura, di essere pronta a spendersi, di avere un senso molto alto dei propri doveri e della responsabilità nazionale.
Non è bello dire che non tutte le altre professioni, in questi anni, hanno dimostrato lo stesso senso dello Stato. Non è bello, ma è vero. Così come è vero che se nella società civile non si muovono altre forze, altre strutture, per difendere il diritto e spiegare che il diritto è più grande dell’emergenza, se gli avvocati restano soli, è difficile che vincano. Non credo che si possa sperare che un aiuto agli avvocati venga dalla politica. La politica, nel suo insieme ( tranne poche e buone eccezioni), in questi anni, è su un’altro pianeta, sta giocando un’altra partita. E’ lontana mille miglia dalle questioni del diritto. La speranza è che si muovano forze nella società: intellettuali, professioni, corpi intermedi. La chiave del futuro sta lì. Se non si gira quella chiave possiamo anche consegnarci legati al mercato e all’emergenza. Proviamo a evitarlo.