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«Te ne vai o no, te ne vai sì o no»: nel lontano '77 la filastrocca era un tormentone fisso. Non c'era assemblea o manifestazione del Movimento senza che venisse ripetuta in coro. Inutile però rivolgere la domandina a Matteo Renzi o al suo partito. Non possono rispondere. Se si trincerano dietro i giochi di parole tipo «Consideriamo solo l'ipotesi di vittoria senza piani b» non è perché vogliano essere reticenti, ma perché solo reticenti possono essere.L'incastro è davvero pazzesco: se l'avesse studiato un geniaccio a tavolino non sarebbe riuscito a inventarsi un rebus altrettanto irresolubile. L'aver scommesso tutto sul referendum, trasformandolo in plebiscito sul governo e soprattutto sul premier, è stato un errore che potrebbe rivelarsi fatale, e di questo ormai è convinto anche il giocatore d'azzardo in questione. Fino a che glielo ripetevano i sottoposti e gli alleati poteva titubare, ma ora a spiegarglielo con la dovuta imperiosità sono i pezzi da novanta dell'Unione europea, gli stessi a cui Renzi deve rivolgersi per ottenere quella decina di miliardi partoriti dalla flessibilità potenziata, senza i quali il referendum sarebbe meglio non farlo proprio, come del resto suggerisce il premio Nobel Jospeh Stiglitz.Ma anche senza bisogno di scomodare i potenti che da Berlino e Bruxelles decidono su quanto allargare o stringere i cordoni della borsa era già chiaro da mesi ovunque, escluso forse proprio palazzo Chigi, che in questo caso "metterci la faccia" significava moltiplicare le probabilità di perderla. Elezioni comunali e sondaggi bastavano e avanzavano.Nessun problema: se le cancellerie che contano e i sondaggisti concordano sin nei particolari basta ingranare la retromarcia e passa la paura. Invece no. La paura resta tutta. Il tallone d'Achille di Renzi è la dubbia affidabilità. L'Italia è un Paese strano, non sai mai quando perdonerà la balla e il tradimento e quando deciderà di punto in bianco di punirle con rigore calvinista. Le passa tutte per anni, poi, all'improvviso, si scopre severa quanto i cittadini d'oltre oceano che hanno licenziato un presidente e ne hanno azzoppato un altro non per le loro colpe ma per non averle ammesse. Di solito, da noi, la disponibilità a chiudere un occhio è direttamente proporzionale alle fortune politiche di cui il leader in questione gode in quel momento.La spintarella che precipita Letta nel dirupo, subito dopo quell'infido «Enrico stai sereno», sul momento ai più non fece né caldo né freddo. Ma quei tempi gloriosi sono lontani e vai a sapere se a fronte di una nuova piroetta gli elettori non decideranno di presentare il conto anche per la volta scorsa. È già successo spesso e guarda caso tra i tanti che hanno fatto le spese di questa simpatica specialità nazionale c'è proprio il principale nemico di Renzi nel Pd, Massimo D'Alema.Il nodo in realtà è anche più indistricabile, perché la finanza, si sa, è volatile e capricciosa, insuperabile quando si tratta di bastonare il can che affoga. Se Renzi tiene il punto e conferma la puntata estrema e più azzardata, le previsioni buttano sul tempestoso e le borse si adeguano. Se invece arretra e putacaso gli immancabili sondaggi registrano un definitivo crollo della fiducia nell'onestà del capo il risultato è identico, forse anche più buio.Cosa farà Renzi posto di fronte a un simile dilemma, di quelli che non augureresti al peggior nemico? Dirlo con certezza è impossibile, ma l'eventualità più probabile è che si ripari dietro una feconda ambiguità. La formula che ha scelto assicurando che qualunque sia l'esito del referendum si voterà nel 2018 si presta felicemente a letture opposte. Permette di rispondere che a chi denuncia il voltafaccia che non c'è stato nessun cambio di marcia, la sorte del governo essendo cosa diversa da quella della legislatura. Ma consente anche di replicare a chi lo accusa di aver personalizzato troppo la prova, non tanto gli opinionisti di casa ma i soci del club Ventotene, di aver fatto con quelle parole sibilline l'opposto esatto.Certo mantenere l'incertezza troppo a lungo non sarà facile. Una cosa è glissare sino ai primi d'ottobre, tutt'altra reggere il gioco del silenzio fino a fine novembre. Ma la situazione, stavolta, è troppo critica per pretendere di avere in mano una strategia precisa: se mantenere la suspence si rivelerà impossibile si deciderà al momento opportuno come scioglierla. Per ora la risposta migliore, forse la sola possibile, a chi chiede «Te ne vai o no? » resta: «Non te lo dico».