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Altro che premierato e separazione delle carriere. È alla prima bandierina del “contratto di governo”, piantata dalla Lega con l’approvazione definitiva dell’Autonomia differenziata, che la maggioranza rischia già di incartarsi. E non solo per la ribellione di una parte importante di Forza Italia, quella capitanata dal vice segretario e pesantissimo (in termini di consenso) governatore calabrese Roberto Occhiuto, ma anche per i sommovimenti che stanno scuotendo il Carroccio. O almeno l’ala “sudista” del partito - quella con la spilletta di Alberto da Giussano all’occhiello e i bermuda pronti per un tuffo nel mare di Tropea - diventata improvvisamente consapevole della potenziale fregatura per il Meridione di un’Autonomia senza nemmeno Lep definiti.
E così, il primo leghista calabro a svegliarsi dal torpore autonomista è Filippo Mancuso. Non esattamente uno qualunque: presidente del Consiglio regionale e peso massimo di preferenze. «In riferimento alle scene di giubilo di calabresi in Parlamento ribadisco la mia perplessità per l’approvazione di una legge che è solo un pennacchio per qualcuno e che, così com’è, non tutela il nostro territorio», è la bomba sganciata da Mancuso a poche ore dall’approvazione del provvedimento firmato dal collega di partito Roberto Calderoli. Nel centrodestra, già attraversato dai turbamenti provocati dalla “dissociazione” di Occhiuto, scatta il panico. Anche perché il leghista Mancuso non sembra avere alcune intenzione di fare marcia indietro. Anzi, sentito da Repubblica, rincara la dose: «Ci sono tanti servi sciocchi», dice il presidente del Consiglio regionale, riferendosi ai parlamentari conterranei che hanno sventolato le bandiere calabresi in Aula, in segno di esultanza per l’approvazione della riforma.
Per Matteo Salvini, che poche ore prima aveva replicato piccato all’alleato Occhiuto, è una doccia fredda. Ora l’Autonomia rischia di spaccare il suo stesso partito, nato padano e diventato forse troppo sbrigativamente nazionale. Il “fu capitano” mobilita i suoi per fare quadrato attorno alla linea ufficiale e nel giro di un pomeriggio arriva la nota ufficiale della “Lega per Salvini premier Calabria”: «Tutto il Gruppo», recita il comunicato, «ritiene che la Regione abbia tutte le potenzialità per diventare sempre più moderna ed efficiente. E ritiene soprattutto che essa - già oggi - possa a pieno diritto avere l’orgoglio di non sentirsi inferiore a nessuno», scrivono i leghisti calabresi. Che poi insistono: «La Lega è compatta e ha le idee chiare: la Calabria non è inferiore nemmeno al resto delle Regioni italiane, visto che l’opera simbolo voluta dall’attuale governo (il Ponte sullo Stretto) darà lustro al nostro Paese nel mondo e valorizzerà proprio la nostra terra. Ecco siamo fermamente convinti che l’ Autonomia regionale rappresenti una straordinaria opportunità e non un problema».
L’Autonomia non sarà un problema per la Calabria, come sostengono i fedelissimi di Salvini, ma a quanto pare resta un problema enorme per il Carroccio calabrese, che perde pezzi da novanta. A breve, infatti, nella Regione più a Sud dello Stivale potrebbe registrarsi un esodo di (ex) leghisti verso Forza Italia, il partito che in Calabria non ha avuto timori di rinnegare la linea Tajani in nome degli interessi del territorio. Un fuggi fuggi che potrebbe risparmiare a Salvini anche la “fatica” di dover procedere con le epurazioni.
I ribelli, del resto, forti del loro peso elettorale, non avrebbero grandi problemi a riaccasarsi tra gli azzurri, che sarebbero ben lieti di accogliere nomi capaci consolidare un consenso già parecchio al di sopra della media nazionale in Calabria. Col 18 per cento ottenuto alle Europee, infatti, i forzisti capitanati da Roberto Occhiuto si sentono abbastanza liberi di smarcarsi dal governo sull’Autonomia. «Noi non siamo contrari a priori a questo provvedimento, abbiamo semplicemente contestato in maniera libera il metodo di approvazione, che ha subito una accelerazione nelle ultime settimane e che non ha dato la possibilità a noi deputati di apportare migliorie, così come è accaduto al Senato, sebbene non sia bastato», dice senza timore di smentite Francesco Cannizzaro, vicepresidente dei deputati azzurri e coordinatore di Fi in Calabria. È una dichiarazione di autonomia (politica) che potrebbe rivelarsi fatale in caso di referendum abrogativo.