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Berlusconi
Delle duecento telefonate - di cui ho letto o sentito - di auguri a Silvio Berlusconi per gli 85 anni felicemente compiuti, alla faccia di chi gli vuole male o solo ne sogna l’eredità elettorale con crescente impazienza, l’unica ch’è finita sui giornali è quella fattagli dal direttore della Stampa Massimo Giannini. Che non dev’essere durata molto - vista la media di una ogni sei o sette minuti in diciotto ore, al netto quindi della notte- ma di cui Giannini ha riferito con garbata dovizia, pur fraintendendolo forse in un passaggio - vedremo- particolarmente delicato.
È rimasto pacifico, non frainteso cioè, quel riconoscimento a Putin, riferito al direttore della Stampa a proposito degli auguri ricevuti pure da Mosca, di essere ormai l’unico o ultimo leader rimasto in questo mondo politicamente impoverito, a est quanto ad ovest. Dove invece Berlusconi ne ha visti e frequentati un bel po’, tutti purtroppo morti o tramontati.
Certo, la simpatia di Berlusconi per Putin è nota, senza bisogno di scomodare più di tanto il solito letto o lettone ricevuto in regalo, ma fa sempre una certa impressione vederla rafforzata. Una volta Paolo Guzzanti, pur deputato forzista allora alla guida di una commissione parlamentare d’inchiesta su certe cattive abitudini spionistiche di Mosca, gliela contestò duramente senza tuttavia turbarlo, ed essendone anche generosamente perdonato.
Ugualmente pacifico è rimasto il giudizio liquidatorio sulle capacità “modeste” del candidato socialdemocratico alla Cancelleria di Berlino, col quale però, dopo qualche resistenza iniziale del concorrente democristiano sconfitto, autorevoli esponenti tedeschi del Partito Popolare Europeo di cui Berlusconi si vanta di condividere opinioni e militanza, a cominciare da Angela Merkel, si sono congratulati, incoraggiandolo così a fare il nuovo governo e smentendo l’avversario deciso invece a resistergli e a soffiargli i possibili alleati.
Quando si perde un turno elettorale, sia pure di misura, anche in Germania, a lungo abituati a governi insieme di vincenti e sconfitti, se ne prende atto senza fare tante storie. E non è detto poi che un cancelliere democristiano possa fare oggi più comodo all’Italia di un cancelliere socialdemocratico in vista del negoziato europeo sul nuovo patto di stabilità, o come diavolo si preferirà chiamarlo, dopo la sospensione del vecchio per effetto dei danni procurati dalla pandemia.
Controverso invece è risultato, dopo il “fraintendimento” lamentato da Berlusconi, il passaggio in cui, deciso peraltro a “tornare in campo”, sempre che davvero lo abbia mai lasciato, anche durante i suoi controlli medici e simili, l’ex presidente del Consiglio ha praticamente liquidato il centrodestra parlando dei problemi che lo affliggono, compresi quelli fastidiosissimi e imbarazzanti della Lega dopo l’infortunio bestiale, a dir poco, dell’ex portavoce ormai di Matteo Salvini.
Quest’ultimo sta probabilmente per avere conferme dei sospetti sull’operazione Morisi - visto che traballa un po’ la storia del controllo fortuito di un’auto e di una successiva perquisizione dei Carabinieri in una residenza dell’allora portavoce del leader leghista - ma non per questo temo che riuscirà a limitare più di tanto i danni politici della vicenda. Che ha avuto la disgrazia suppletiva di coincidere con un conflitto politico esploso col capo della delegazione leghista al governo Giancarlo Giorgetti, mica con un passante.
«Senta, siamo sinceri», avrebbe detto Berlusconi a Giannini parlando di dove potrebbe trovarsi Draghi solo fra qualche mese, al Quirinale o ancora a Palazzo Chigi, come mi sembra di capire che l’ex presidente del Consiglio preferisca avendo egli detto che l’attuale capo del governo «deve durare». «Se Draghi viene eletto presidente della Repubblica, poi a chi dà l’incarico di fare il nuovo governo? A Salvini? Alla Meloni? Ma dai, non scherziamo…», si è sentito chiedere e rispondere da Berlusconi un Giannini non se più sorpreso o compiaciuto, che ha ironicamente concluso così, non so se in diretta o in differita, la cronaca della telefonata: «Auguri, presidente. A lei e al partito unico della destra divisa».
Con tutta la simpatia che Berlusconi merita per l’ostinazione con la quale persegue e aggiorna il suo impegno politico guardandosi contemporaneamente da avversari ed amici, e dentro e fuori i tribunali, comprese le redazioni amplificatrici delle inesauribili iniziative giudiziarie contro di lui; e con tutto il rispetto che merita il suo lamentato “fraintendimento” nella conversazione con un giornalista di pur collaudata professionalità come il direttore della Stampa, mi sembra abbastanza credibile, o verosimile, che Berlusconi dia ben poche possibilità sia a Salvini sia alla Meloni di approdare a Palazzo Chigi dopo le prossime elezioni, anticipate o ordinarie che potranno risultare. E altrettanto improbabile mi sembra che possa aspirarvi lo stesso Berlusconi, alla sua età e nelle condizioni in cui si trova il suo pur amato e da lui fondato centrodestra, che sta arrivando alle elezioni amministrative di domenica col fiato a dir poco sospeso.
Partiti e schieramenti, un po’ tutti, messi in qualche modo a riposo opportunamente dal capo dello Stato col ricorso al governo atipico di Draghi nella legislatura più pazza della Repubblica, sono in una crisi dagli sviluppi davvero imprevedibili.