«Colpo di Stato europeo»: se qualcuno, all'interno del centrodestra, pensava che Matteo Salvini preferisse mantenere un certo understatement in attesa dell'esito definitivo della partita sulla nomina di Ursula von der Leyen, è rimasto decisamente deluso. Il leader leghista, infatti, non ha resistito alla tentazione di scavalcare a destra il severo discorso nei confronti dell'Ue pronunciato da Giorgia Meloni in Parlamento mercoledì scorso e ha optato per un innalzamento repentino dei toni, per mettere immediatamente a reddito politico (o almeno tentare di farlo) la difficile posizione in cui le forze di maggioranza a Strasburgo hanno messo il nostro governo.

Nella tarda mattinata di ieri, infatti, il segretario del Carroccio ha postato un video sui social con cui è andato a testa bassa contro i vertici Ue, proprio nella fase più delicata della trattativa che vede impegnata la nostra presidente del Consiglio nel tentativo di strappare un Commissario di peso, non facendosi emarginare dall'accoppiata Macron- Scholz. E siccome Meloni alle camere aveva parlato di “Europa dei caminetti” e di poca sensibilità per la rilevanza dell'Italia nel contesto continentale, Salvini non poteva rimanere nel recinto della polemica e ha deciso di passare all'invettiva: «Abbiamo assistito», ha detto, «all'ennesimo gesto di arroganza e di mancanza di rispetto per i cittadini che hanno chiesto il cambiamento, da parte di Bruxelles e dei burocrati europei che hanno riconfermato la von der Leyen, con una squadra con la sinistra e i socialisti che hanno fatto tanti danni in questi cinque anni. Noi come Lega stiamo lavorando per un grande gruppo alternativo che porti nei Palazzi di Bruxelles la voglia di cambiamento che milioni di italiani e milioni di europei hanno chiesto con il voto».

Poi, l'affondo: «È un colpo di Stato europeo, e la democrazia ci impone di reagire con tutti i mezzi possibili». Più tardi, in una nota firmata Lega, il vicepremier ha ribadito il concetto affermando che la maggioranza uscita dalle Europee «avrà vita breve, questa è la convinzione e l’impegno della Lega e del suo gruppo, che diventerà uno dei più forti e numerosi a Bruxelles».

Parole che non hanno fatto piacere, per ovvi motivi, a Forza Italia la quale, in quanto parte integrante del Ppe, di quella maggioranza fa parte e si appresta senza indugi a rinnovare la fiducia a Ursula von der Leyen, ma che hanno irritato anche FdI, partito- guida del gruppo dei Conservatori, che ha visto materializzarsi la competition del Carroccio (versione Id) prima di quanto temesse.

Non è un segreto, nei corridoi dei palazzi romani e di quelli Bruxelles, che la speranza non pienamente confessabile di Salvini è che in qualche modo la nostra premier arrivi presto ad un accordo con la leader designata della Commissione e sblocchi i voti Ecr a Strasburgo per blindarne la rielezione, in modo da avere un ancor più agevole spazio di manovra a destra. Uno spazio, però, la cui misura dipenderà anche dagli esiti delle elezioni francesi, poiché risulta evidente a tutti che una Marine Le Pen con le chiavi di Matignon sarebbe in una condizione più simile a quella di Meloni che a quella di Salvini.

Per il momento, il risultato della sortita del segretario leghista è stato quello (non certo casuale) di rinfocolare la polemica con Tajani e con l'intera Fi: il ministro degli Esteri, infatti, ha replicato a stretto giro affermando che quello di Salvini «non è il mio linguaggio» e che in ogni caso le sue parole «non influiscono sul peso dell'Italia». «La trattativa», ha aggiunto Tajani, «la fa il presidente del Consiglio per conto dell'Italia, non per conto delle forze politiche che sostengono il governo. Non credo che nessuno pensi in Italia che al nostro Paese non spetti un portafoglio di grande importanza e la vicepresidenza della Commissione europea».

Una trattativa, però, che Meloni non si trova a condurre nella condizione più agevole, stretta tra chi ha ansia di picconare l'eventuale accordo e chi spinge per la sua chiusura, avendo già fatto sapere di non avere problemi a rinnovare il patto coi Socialisti.