Entrambi sostengono in pieno il diritto dell’Ucraina di difendersi, anche con le armi fornite dall’Occidente, e quindi dall’Italia. Entrambi hanno condannato dall’inizio l’invasione russa ma entrambi, di nuovo d’accordo, non vogliono che Kiev utilizzi le armi per colpire in territorio russo, come sta già facendo da alcune settimane.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e la leader del Pd, Elly Schlein, condividono la stessa linea sulla politica estera ma se il primo rappresenta l’anima “moderata” del centrodestra, costretto a dare un colpo al cerchio e uno alla botte rassicurando gli alleati internazionali ma al tempo stesso non dando troppo vantaggio alla Lega di Salvini (che spinge per la tregua), la seconda deve fare i conti con la parte cosiddetta riformista del partito, che sull’Ucraina ha una posizione netta: occorre permettere a Kiev di usare le nostre armi anche in territorio russo, per colpire le postazioni da cui partono i bombardamenti che quotidianamente colpiscono le città ucraine provocando distruzione e morte.

«L’escalation non è “se reagiamo Putin farà peggio”, l’escalation e “se non reagiamo Putin farà peggio” - ha scritto ieri su twitter il senatore Filippo Sensi, dopo l’ennesimo bombardamento - Alba a Leopoli, ancora missili sul centro della città, ancora fiamme, ancora vittime, ancora feriti in mezzo alle macerie, ancora Russia, ancora Putin, ancora l’Europa e la comunità internazionale a voltarsi dall’altra parte».

I tweet di Sensi si aggiungono alle prese di posizione, più o meno pubbliche, di altri esponenti di spicco del Pd, dal presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, alla vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, fino a Lia Quartapelle e all’ex sindaco di Bergamo, oggi eurodeputato, Giorgio Gori.

«L’Ucraina deve potersi difendere anche prima che i missili russi piovano sulle sue città. Sostenere il contrario – come fanno Ungheria e Slovacchia, e come fa il governo italiano, isolandosi dall’Europa – favorisce soltanto Putin - ha scritto qualche giorno fa sui social Gori - Si può essere mossi da un sincero desiderio di pace (non è il caso di Salvini e di Conte) ma questo è il risultato. Vorrei che il Pd, il mio partito, non venisse meno alla linea di pieno sostegno a Kyiv, meritoriamente tenuta fino ad oggi».

Una posizione che non prevede il sì a che Kiev utilizzi armi occidentali in territorio russo, linea più volte ribadita nelle ultime settimane dalla segretaria Schlein dai palchi delle varie feste dell’Unità. «Quel che ci unisce è che il Pd continuerà a sostenere l’Ucraina anche a livello militare - spiega al Dubbio un parlamentare dem - La nostra è una posizione netta rispetto ad esempio a M5S e Avs, poi certo sul tema dell’uso delle armi il Nazareno mi sembra molto cauto mentre altri esponenti sottolineano l’urgenza di sostenere l’Ucraina in ogni modo, anche permettendogli di colpire in territorio russo». Posizione quest’ultima condivisa dai centristi di Azione e Iv, con Carlo Calenda che accusa «la politica italiana, tutta» di voler continuare «come Orban, a far combattere gli ucraini con una mano legata dietro la schiena», esprimendo «vergogna».

«Appare di tutta evidenza che alleati e partner intendano fornire un chiaro segnale all’Italia, rimasta sola insieme con l’Ungheria a sostenere tesi finalizzate a negare all’Ucraina il diritto di colpire nel territorio russo - ha spiegato ieri il capogruppo di Iv in Senato Enrico Borghi dopo la notizia dell’esclusione di Roma da una riunione tra partner occidentali proprio sull’Ucraina - È indispensabile una correzione di rotta per scongiurare l’innesco di un progressivo e pernicioso isolamento internazionale dell’Italia: per questo abbiamo presentato un’interrogazione urgente e riteniamo che la Premier debba venire in aula ad affrontare il tema».

Ma Tajani, che ieri ha incontrato a Roma lo speaker della Camera dei Rappresentanti Mike Johnson ribadendo «che l’amicizia con gli Stati Uniti è al centro della politica estera del governo» e la «forte convergenza e collaborazione tra Italia e Stati Uniti sui principali temi internazionali», compresa l’Ucraina, continua tuttavia sulla linea del «l’Italia non è in guerra con la Russia». Una linea che lo stesso senatore dem Sensi definisce sintomo di «un raffreddamento» del sostegno a Kiev da parte di tutto l’Occidente, governo italiano compreso. «Tajani ha una posizione cauta e prudente figlia di un partito che sulla Russia ha una visione di lunga durata - aggiunge Sensi - della Lega è anche inutile parlare, mentre mi pare che la posizione di Meloni regga, ma in silenzio».