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Giorgia Meloni entra nell’aula di Montecitorio alle quindici spaccate. Elly Schlein è già seduta al proprio banco. L’aspetta al varco. Giuseppe Conte non si vede (arriverà a seduta iniziata). Il primo confronto faccia a faccia tra la presidente del Consiglio e la nuova segretaria del Pd finisce sostanzialmente in parità, ma con una differenza non da poco. Dopo l’interrogazione della leader dem, la replica della presidente del Consiglio viene salutata da una standing ovation di tutta la maggioranza, mentre la controreplica di Schlein è applaudita dai soli deputati dem, con il resto delle opposizioni sedute e composte.
Riavvolgiamo il nastro. Meloni siede al centro dei banchi del governo, al proprio fianco i due vice Matteo Salvini e Antonio Tajani, più a lato, tra gli altri, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e quello dell’Interno, Matteo Piantedosi. Trattasi di question time, cioè interrogazioni di un minuto di singoli parlamentari, alle quali l’inquilina di palazzo Chigi replica per tre minuti, con tanto di controreplica di due minuti da parte dell’interrogante. Il format è piuttosto informale, i temi tra i più vari, dall’immigrazione alle case green, dal fisco al salario minimo. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti perché l’Aula di trasformi in un’arena. E infatti.
Si comincia con Riccardo Magi, neosegretario di PiùEuropa, che chiede al governo perché non è intervenuto per prevenire il naufragio avvenuto domenica scorsa al largo delle coste libiche. Negli occhi di tutti ci sono ancora le immagini della tragedia di Steccato di Cutro, e Meloni lo sottolinea. Poi però spiega che ha «la coscienza a posto», perché chi aveva il compito di intervenire era in primo luogo la Guardia costiera libica e in secondo luogo quella maltese. «Quando nessuna delle due l’ha fatto ci siamo presi carico della questione - si difende Meloni - ma la nostra pattuglia più vicina era a 250 miglia». Magi non è soddisfatto, rinfaccia alla presidente del Consiglio di «non aver fatto abbastanza» e si prende gli applausi di tutte le opposizioni, dal Pd al terzo polo, passando per il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, appena entrato in Aula.
Poi tocca ad Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi-Sinistra che interroga Meloni sulla crisi energetica e accusa il governo di voler fare il ponte sullo Stretto di Messina «in nome dell’ideologia salviniana» mentre ci si dovrebbe concentrare, dice, sulle tratte ferroviarie che ancora mancano in Sicilia. Il timing non è perfetto, visto che Salvini appena il giorno prima aveva annunciato lo stanziamento di tre miliardi e mezzo di euro per l’ammodernamento della Palermo-Catania. Ma tutto questo Angelo, direbbe De Gregori, (forse) non lo sa.
Via di seguito il renziano Luigi Marattin chiede a Meloni quando l’Italia ratificherà il Mes, pregando la presidente del Consiglio «di non buttare la palla in tribuna». Lei, puntualmente, butta la palla in tribuna. Non è per adesso, fa capire, e forse nemmeno per dopo. Chissà. Nel frattempo siamo rimasti l’unico paese europeo a non aver dato l’okay alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Augusta Montaruli di Fratelli d’Italia fa l’elogio del governo e si può passare oltre, cioè al grillino, o meglio contiano, Francesco Silvestri, meno famoso dell’omonimo cantante ma anche lui pronto a salire fino a quando sarà solamente un ricordo lontano. Ma a salire al momento sono solo le rate de mutui, come ricorda il Nostro a Meloni. Che per tutta risposta provoca sul Superbonus. Conte rimane impassibile.
Dopo gli interventi del moderato Lupi e del leghista Molinari, finalmente tocca a Schlein. Spiega la necessità del salario minimo, dice di prendere spunto dalLla Spagna e si chiede come sia possibile che il governo non colleghi il crollo demografico «con il senso di precarietà dei nostri giovani». Per poi chiedere di intervenire sul congedo parentale. Meloni replica che il salario minimo non si farà, «perché rischierebbe di creare per molti lavoratori condizioni peggiori di quelle che hanno oggi», ma si dice «molto d’accordo» sul sostegno alle madri lavoratrici. Standing ovation di tutto il centrodestra. Schlein prende fiato, poi attacca. Accusa il governo di «incapacità, approssimazione e insensibilità» e di avere altre priorità come «i rave, i condoni, la guerra alle Ong e da ieri, colpire i figli e le figlie delle famiglie omogenitoriali». Un intervento appassionato, ma che raccoglie l’applauso del solo gruppo Pd e Avs. Dai banchi di M5S e terzo polo nessuno si alza, gli applausi si contano sulle dita di una mano. Poco dopo, ai cronisti che affollano il Transatlantico, Schlein dirà che Meloni è «debole». Il compito di concludere la seduta al forzista Alessandro Cattaneo, che chiede a Meloni quando si parlerà di delega fiscale e lei risponde «nel Cdm di domani». Ma tutto questo, Alessandro, lo sapeva benissimo.