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La Segretaria Elly Schlein alla direzione nazionale del PD
Un sentiero stretto, tra gli impegni internazionali e il sentimento dell'opinione pubblica (o presunto tale). La condizione della segretaria del Pd Elly Schlein, in questi ultimi giorni, è diventata quasi speculare a quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, seppure con oneri e implicazioni differenti, e se ne è avuta la prova anche ieri nel corso del vertice informale Ue di Bruxelles, in cui la numero uno del Nazareno è andata alla ricerca di una linea compatibile con quella dei leader socialisti continentali.
Il problema è che nella maggior parte dei casi gli esponenti del Pse sembrano non avere, sulla questione del riarmo posta da Ursula von der Leyen, le stesse remore di Schlein. A partire dal premier spagnolo Pedro Sanchez, unico socialista del continente, dopo la sconfitta di Scholz in Germania, ad essere capo di un esecutivo. Ieri, arrivando a Bruxelles, seppure con le dovute cautele, Sanchez ha detto a chiare lettere che il suo paese «darà certezze in questo Consiglio e nei prossimi mesi: significa che dobbiamo trasmettere un messaggio di unità, di forza e che andremo avanti nel rafforzamento di un'Europa molto più unita».
Intendendo anche il fronte del riarmo e della difesa comune, che «deve includere un concetto molto più ampio che è quello della sicurezza europea a 360 gradi». Univoco, Sanchez, lo è stato anche sull'appoggio a Kiev: «Bisogna trasmettere un messaggio di appoggio totale all'Ucraina perché mentre si sta parlando e speculando su cosa faremo rispetto a una tregua o un cessate il fuoco o un accordo di pace, la realtà è che oggi la guerra continua». Consapevole della specificità del Pd, partito ancora in parte ibrido con un'area proveniente non dalla tradizione socialista e per questo spesso diviso sui temi più delicati, Schlein ha perorato la causa della prudenza e dei distinguo sul riarmo, alla riunione del Pse che si è svolta prima del vertice vero e proprio, con la ovvia intenzione di portare a casa un compromesso “potabile” da tutta la truppa del Nazareno.
Il che sembra difficile, viste le prese di posizione di autorevoli esponenti riformisti nel senso di una maggiore aderenza ai pilastri di ReArm Europe, primo fra tutti l'ex-premier ed ex-commissario Ue Paolo Gentiloni. Sapendo di non poter trovare opposizione su questo punto, la segretaria dem ha spinto sul tasto delle risorse Ue da destinare non solo al comparto militare: «Confermiamo le critiche avanzate al piano di von der Leyen sul riarmo dell'Europa», ha detto, «lavoreremo al vertice con socialisti e democratici per farli andare nella parte opposta». Per Schlein sarebbe un errore «dirottare i fondi di coesione sulla difesa». «Serve più flessibilità sul patto di stabilità e crescita», ha aggiunto, «ma attenzione, lo si propone per progetti nazionali. Non è quello che oggi serve. Si mettano delle condizione affinché quei finanziamenti vadano a dei progetti fatti da più Paesi europei insieme, per costruire davvero una difesa comune. Quello che è un errore madornale e che non è accettabile, è prendere i fondi per la coesione sociale e dirottarli sulle spese militari. Questo vorrebbe dire lasciare indietro tutte quelle priorità che erano intrecciate nel Next generation Eu».
Non è un caso che si tratti di una posizione che ha raccolto il favore anche del M5S di Giuseppe Conte, pronto su questo fronte a incalzare i dem per ottenere dei vantaggi in termini di consenso. Naturalmente, Schlein ha anche puntato i riflettori sulle difficoltà della premier: «Trovo assurdo», ha detto, «che non sappiamo qual è la posizione che Giorgia Meloni porterà al Consiglio Europeo per l'Italia. Come non abbiamo saputo quale posizione ha portato al vertice di Parigi e al vertice di Londra».
«Le opposizioni», ha aggiunto, «hanno chiesto a Giorgia Meloni di venire in Parlamento a confrontarsi prima di questo vertice e lei ha rifiutato di farlo». Una segretaria dem incalzata anche da Avs (che a Strasburgo siede assieme ai pentastellati), come testimonia la protesta dei “rossoverdi” messa in scena ieri mattina alla Camera nel corso del dibattito parlamentare che ha portato all'approvazione del ddl spazio, considerato dal gruppo di Bonelli e Fratoianni un favore ad Elon Musk e all'amministrazione americana. I deputati della sinistra, prima del voto finale, hanno esposto dei cartelli con la scritta “Giù la Musk”.