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Lo mugugnano a voce sempre più alta, e non solo i grillini romani: «Dal Campidoglio arrivano solo problemi». Quali saranno le conseguenze di questi malumori, probabilmente si scoprirà nelle prossime settimane, fitte di impegni “non istituzionali” per la sindaca Virginia Raggi. Ieri si è tenuta una riunione al vetriolo del suo gruppo in Comune, con all’ordine del giorno la nomina di un nuovo capogruppo, dopo che Paolo Ferrara si è autosospeso dopo essere stato indagato nell’inchiesta sullo stadio della Roma: inizialmente la scelta avrebbe dovuto ricadere su Giuliano Pacetti, che però è considerato il principale colpevole del pasticcio del voto sulla strada da intitolare a Giorgio Almirante, dunque la partita rimane aperta. Domani, invece, la sindaca comparirà davanti al giudice monocratico di piazzale Clodio per l’inizio del processo a suo carico per falso nell’ambito dell’inchiesta sul cosiddetto «pacchetto nomine» : Raggi ha scelto il rito direttissimo e i maligni sostengono lo abbia fatto per far slittare l’udienza oltre il 4 marzo ed evitare di inquinare la campagna elettorale per le politiche con il famigerato “effetto Raggi”. La resa dei conti però è arrivata e nessuno nel Movimento se ne è dimenticato: alla sindaca viene contestata la nomina di Renato Marra, fratello di Raffaele, alla direzione Turismo del Campidoglio e la sentenza di primo grado è attesa al massimo per l’autunno. Sulla sua posizione si addensano nubi: i pm avrebbero in mano le chat tra lei e Marra che dimostrerebbero l’abuso e, se arrivasse la condanna, la giunta capitolina rischierebbe davvero di saltare. Del resto, lo ha ripetuto lo stesso Luigi Di Maio all’Huffington Post, dopo aver prudentemente preso le distanze dalla gestione della situazione romana: «C’è il codice di comportamento, lo conosciamo bene». Tradotto, se Virginia venisse condannata, l’espulsione dal Movimento sarebbe automatica e non potrebbe fare altro che lasciare palazzo Senatorio.
Nei prossimi giorni, infine, potrebbero uscire dalla procura rilevanti novità sull’inchiesta sta- dio e, soprattutto, sul ruolo di Luca Lanzalone, che durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip ha sostenuto di «non aver pai partecipato alla vicenda dello Stadio». Intorno alla figura dell’avvocato genovese nominato dai 5 Stelle presidente di Acea e plenipotenziario de facto sul dossier- stadio, si impernia la recente crisi di nervi della maggioranza capitolina. Dopo l’apparizione a Porta a Porta, Raggi si è chiusa in un ostinato silenzio sulla vicenda, continando a ripetere in privato e anche ai magistrati ( che l’hanno già convocata due volte in procura, per chiarire la posizione del presidente di Acea e quali fossero i suoi incarichi a nome del Comune) come Lanzalone le sia stato affiancato dagli allora responsabili enti locali del Movimento: i ministri Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. I due si sono immediatamente smarcati, ripetendo che il loro era stato un suggerimento e che la scelta sia stata esclusiva responsabilità di Raggi.
Uno scaricabarile in piena regola, che lascia la sindaca sola davanti ai guai giudiziari e anche a quelli politici. Il Pd in Comune le ha giurato guerra in piena regola, intensificando gli attacchi quasi che subdorasse nell’aria che qualcosa è cambiato nella compattezza della Giunta: in questi giorni il segretario romano Andrea Casu e il segretario reggente Maurizio Martina hanno chiesto a gran voce le sue dimissioni per manifesta incapacità a governare, e il gruppo consiliare ha rincarato la dose ieri: «Raggi prenda atto del fallimento, lasci il suo posto e se a veramente a cuore e amore per la città si dimetta e ponga fine ad una amministrazione mai nata». Unica, pacata difesa quasi d’ufficio è arrivata dal gruppo dei 5 Stelle in Campidoglio. Le voci sempre più insistenti di una fronda interna tentata di togliere la fiducia alla sindaca hanno messo in allarme i consiglieri, che hanno risposto con un comunicato congiunto: «Ma quali divisioni!? Il gruppo consiliare capitolino M5S è più compatto e coeso che mai nel sostenere la sindaca Virginia Raggi. Infondata, quindi, ogni voce che afferma il contrario». Eppure, dopo due anni di amministrazione, la posizione di Raggi non è mai stata così in bilico, dentro e fuori dal Movimento.