Una partita a scacchi, o più prosaicamente una trattativa. Ma anche l'eterno dilemma tra garantismo e giustizialismo. Fatte le debite differenze, l'affaire Santanchè potrebbe riproporre il copione della recente vicenda che ha coinvolto Gennaro Sangiuliano e che ha tenuto banco per giorni, fino all'esito che tutti conoscono.

Nel caso del dimissionario ministro della Cultura, non c'era un procedimento giudiziario pendente sul diretto interessato, ma la questione può essere riportata, anche per ciò che riguarda la titolare del Turismo, al rapporto tra esecutivo e opinione pubblica e alla conservazione del rilevante consenso di cui gode la premier. Ragion per cui, anche se ufficialmente i leader e i principali esponenti del centrodestra continuano a sfornare dichiarazioni ufficiali di sostegno alla ministra e professioni di garantismo, sottotraccia si sta giocando una delicata partita in cui il pressing su Santanchè – seppure indiretto – si starebbe intensificando, ma allo stesso tempo dovrà fare i conti con la determinazione di quest'ultima di resistere e di far uscire allo scoperto Meloni, contraddicendo di fatto le dichiarazioni garantiste dei suoi.

Il fatto è che la presidente del Consiglio, in tempi non sospetti, ha affermato a chiare lettere di considerare le dimissioni un atto congruo quando su un membro del governo viene colpito da un rinvio a giudizio, eventualità che si è palesata per la vicenda Visibilia. La giornata, su questo fronte, è ruotata attorno a un doppio vertice che si è tenuto a Palazzo Chigi: nel primo si sono riuniti per due ore di fronte a Meloni i leader della coalizione Salvini, Tajani e Lupi, nel secondo i capigruppo di Fratelli d'Italia Galeazzo Bignami e Lucio Malan.

I riflettori si sono concentrati immediatamente su Malan, che alcuni retroscena avevano già individuato come possibile sostituto di Santanchè, assieme all'attuale sottosegretario Gianluca Caramanna. Entrambi, incalzati dai giornalisti, hanno energicamente negato che la questione delle dimissioni abbia fatto capolino nelle riunioni o nei contatti con la premier degli ultimi giorni. Stando a quanto ha affermato Malan, nel suo faccia a faccia con Meloni si sarebbe parlato esclusivamente di “concessioni autostradali”, ma appare improbabile che, soprattutto nel vertice del primo pomeriggio ai massimi livelli, non si sia fatto un passaggio sul possibile avvicendamento.

Per ora, stando alle dichiarazioni, il principio di non colpevolezza è stato ripetuto da tutti gli alleati di centrodestra come un mantra: Tajani, uscendo da Palazzo Chigi, dopo aver premesso che il caso Santanchè non era all'ordine del giorno, ha aggiunto: «Noi siamo garantisti, finché una persona non è condannata in via definitiva è innocente, lo prevede la nostra Costituzione». Stesso refrain dagli esponenti meloniani, a partire dal ministro della Difesa Guido Crosetto, tra i più strenui difensori della ministra: «Un rinvio a giudizio», ha detto, «non vuol dire nulla. Aspettiamo che la giustizia si esprima. L'ho detto per nemici storici politici, continuo a dirlo a tutti, uno è innocente sino al terzo grado di giudizio. Lo dico anche per Daniela Santanchè».

Sempre dal governo, il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti sottolinea che «la questione deve essere valutata dalla diretta interessata», e gli fa eco Bignami parlando della presunzione di innocenza come di un “elemento fondante”. Tra le voci che si sono rincorse, anche quelle di un incontro tra Santanchè e Ignazio La Russa (che martedì aveva visto la premier) smentito dallo staff del presidente del Senato. Da parte sua la ministra, che ieri è tornata a Roma, ha ripreso normalmente la propria attività ministeriale, diffondendo una nota sui dati positivi del comparto turistico e dando notizia di un incontro con i responsabili di Oracle Corporation sul tema dell'innovazione.

L'opposizione spinge per le dimissioni: come è noto, il M5s ha presentato una mozione di sfiducia in entrambi i rami del Parlamento, e la segretaria del Pd Elly Schlein ha affermato di attendere “ancora che Meloni faccia dimettere Daniela Santanché. Non ha avuto il coraggio dopo sei giorni di manifestarle l'opportunità che si dimetta, e nemmeno di difenderla. In conferenza stampa aveva risposto 'vediamo quando arriverà il rinvio a giudizio', sono passati sei giorni. E' fortissima», ha concluso, «a nascondino». «Io non ho mai chiesto le dimissioni di nessuno», ha detto Matteo Renzi, «perché rinviato a giudizio ma se chiedete le dimissioni di Santanchè ricordatevi che avete al governo uno già rinviato a giudizio, il sottosegretario Delmastro Delle Vedove. O non chiedete le dimissioni di nessuno», ha concluso, «o di tutti e due».