Più che il Consiglio federale di un partito, quello leghista convocato d'urgenza ieri a Roma, alla Camera, è una manifestazione che mira a sfruttare sino all'osso l'occasione d'oro offerta dalla procura di Palermo per uscire dalla crisi in cui Salvini si dibatteva da mesi. L'odg è un volantino in sé: ' «Iniziative della Lega per difendere la Democrazia il voto popolare e la sicurezza dei cittadini messi a rischio da una sinistra anti- italiana che usa i Tribunali per le sue vendette politiche». Serve infatti a preparare la manifestazione del 6 ottobre, assurta a livello di raduno europeo: «Una Pontida internazionale» la definisce Salvini.

La raccolta di firme di solidarietà invece dovrebbe iniziare già nel prossimo week- end. Se il capo e imputato fa politica e mette da parte ogni tentativo di diplomazia, con la denuncia del ' processo politico e dell' ' attacco al governo', la parlamentare e sua legale Giulia Bongiorno ammorbidisce al massimo. «Piena fiducia nella magistratura» però «nel processo ci sono anomalie e confidiamo in una conclusione favorevole». Lui guarda alla propaganda, lei pensa all'arringa. Sul piano giudiziario il processo contro Salvini è discutibile e a maggior ragione lo sarebbe in caso di condanna.

Sul piano politico invece c'è ben poco da discutere: per l'imputato e vicepremier quella richiesta di condanna è stata un colpo di fortuna, per chi lo vorrebbe fuori dalla scena politica, dagli spalti dell'opposizione ma anche da quelli della maggioranza, è stata una mazzata. Si può sorridere sulla messa in scena teatrale del perseguitato, lo sfondo nero, la retorica molto sopra le righe, l'enfasi sulla persecuzione dovuta all'aver difeso i confini della Patria. E' propaganda spiccia, vale quel che vale e probabilmente non è molto. Ma al netto delle esagerazione salviniane, peraltro consuete, resta che per quella parte di elettorato che vive l'immigrazione come una minaccia il leader leghista è tornato a essere un simbolo e un po' anche un martire.

In effetti è difficile spiegare perché l'allora ministro degli Interni sieda sul banco degli imputati e l'allora premier, che a norma di Costituzione «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile» no. Conte, dopo essersi augurato che Salvini non sia condannato, ha cercato di parare ogni accusa ricordando che lui aveva pur chiesto di far sbarcare «i più vulnerabil».

Come se il processo fosse stato innescato dal mancato sbarco solo dei vulnerabili e come se invece che il responsabile delle scelte di governo Conte fosse allora un amico che elargiva al ministro i suoi consigli senza possibilità di ulteriori interventi. Salvini circonfuso dall'aura del martire in Italia, ma anche in Europa e il particolare ha il suo peso. Orbàn, ieri, gli ha espresso la sua piena solidarietà e con toni che definirli stentorei è poco: «E' il nostro eroe, il patriota più coraggioso d'Europa punito per aver fermato la migrazione». L'eroe ha risposto a stretto giro ringraziando, confermando che «i processi non cambieranno

il vento di cambiamento e libertà che soffia sull'Europa». I due si erano già dati appuntamento a Budapest venerdì prossimo e si può star certi che al "Capitano” leghista la parte dell'eroe non dispiace affatto. Tutto questo, però, è ancora il meno. La premier, che dietro i ruggiti e gli slogan in libertà sul blocco navale è molto più pragmatica e astuta del suo alleato, non ha affatto seguito la via indicata e aperta dal leghista quando era ministro degli Interni. L'obiettivo è identico, la strategia adottata per raggiungerlo e l'apparenza formale sono molto più sottili e accettabili per l'Europa che infatti non lo ha solo accettati ma adottati.

Ma di fronte a una richiesta di condanna esemplare su un tema così identitario per tutta la destra non può fare altro che stringersi al suo vice nel governo e blindarlo. Probabilmente la cosa non le fa alcun piacere ma in questo caso proprio non c'erano e non ci saranno alternative. Figurarsi poi Fi, impegnata in una permanente attività di controcanto antileghista. Ma neppure Tajani si può smarcare e non lo fa: «La condanna sarebbe politica e dunque non sarebbe un problema per il governo.

I sei anni richiesti sono eccessivi, il reato contestato non ha gran fondamento giuridico. Proprio perché io non la penso sempre come Salvini, se dico che questa volta ha ragione la mia opinione vale un po' più di quella di chi è sempre d'accordo con lui». Il tentativo di distinguersi c'è ma la conclusione è netta: anche Fi fa a farà muro intorno all'ex ministro degli Interni. Insomma, Fi ma anche FdI e la premier in persona avevano tutto l'interesse a non essere schiacciati sulla posizione estrema di Salvini ma anche nel limitare il suo ruolo all'interno del governo e della maggioranza, soprattutto agli occhi dell'Europa al versante pittoresco e rumoroso ma per il resto inconsistente.

Il processo e la richiesta di condanna effettivamente esorbitante li costringono ad appiattirsi quasi sulle posizioni del leghista e lo riportano così indebitamente al centro della scena. All'interno della Lega la posizione di un leader già traballante esce più che rinsaldata. A questo punto tentare la spallata suonerebbe come una manovra da quinta colonna. Un'eventuale assoluzione non salverebbe la situazione. Salvini e l'intera destra avrebbero al contrario gioco ancora più facile nel denunciare l'intento politico, tanto crasso da essere smentito dalla stessa Corte giudicante, di imbastire un processo per scopi politici. Ma la situazione potrebbe anche peggiorare: se Salvini fosse condannato in primo e secondo grado ma la Cassazione annullasse la sentenza, come non è affatto impossibile, il disastro d'immagine sarebbe perfetto.