PHOTO
«Se la Lega vuole più ministri lo dica chiaramente». La saga sulla lotta di governo si arricchisce di un nuovo capitolo: la manovra. Luigi Di Maio risponde a muso duro a Matteo Salvini che sul Corriere della Sera aveva messo in guardia l’alleato sulla legge di bilancio. «Noi abbiamo in testa un’idea chiara: questa è una manovra importante in cui tutti dovranno avere coraggio.
Se no il coraggio lo chiediamo agli italiani», è la “minaccia” leghista consegnata al Movimento 5 Stelle dalle colonne del quotidiano milanese. L’ennesima. Dopo una settimana di passione fatta di insulti reciproci sulla Tav, sulle Autonomie e sul decreto sicurezza bis, i cui numeri al Senato rimangono ballerini.
La Lega non può stare al governo «sempre con un atteggiamento da opposizione», è la risposta del capo politico pentastellato. «Abbiamo una legge di bilancio di fine anno da fare in cui dobbiamo abbassare le tasse degli italiani», insiste Di Maio. «Però devo anche dirle che, se il cavallo di battaglia della Lega è la Flat Tax, noi ci aspettiamo da loro che ci dicano il numero di miliardi che serve per farla. Non si può stare al governo sempre con un atteggiamento di opposizione». Invece il Carroccio pretende sempre qualcosa in più dai grillini, lamenta il vicepremier M5S, «ma siamo al governo insieme, facciamo insieme di più».
Salvini, dal canto suo, non sembra interessato a compromessi, forte del vento in poppa certificato dai sondaggi e mette nel mirino alcune pedine chiave dell’esecutivo. «Agli italiani è chiarissimo che ci siano stati ministri che non hanno brillato. Se fossero stati della Lega, il problema sarebbe già stato risolto», dice. Il primo bersaglio è il titolare dei Conti, Giovanni Tria, «è chiaro che se arriva una manovra inadeguata...», dice il titolare del Viminale, lasciando intendere scenari aperti. Poi tocca a Sergio Costa: «Se il Ministro dell’Ambiente non proroga le concessioni per la ricerca e l’estrazione del petrolio, lì sono migliaia di posti di lavoro in fumo, non mi pare che la situazione economica lo consenta».
Per proseguire con un evergreen della retorica salviniana, Danilo Toninelli: «A un anno dalla tragedia di Genova, la Gronda sarebbe partita se Toninelli non l’avesse bloccata. Il primo che la bloccò fu Burlando, l’accoppiata Toninelli- Burlando fa un po’ effetto», dice Salvini, che poi trova spazio per una new entry: Alfonso Bonafede, che sulla riforma della giustizia «si arrende allo status quo», spiega. «Io speravo in una riforma più efficace e coraggiosa di quella che ci hanno sottoposto. Che non accorcia processi, che non garantisce galera certa agli spacciatori, noi vogliamo togliere attenuanti generiche».
Bonafede, invece, «parla di processi di 6 anni. Noi pensiamo che i 3 gradi di giudizio si possono concludere in quattro anni, per esempio». Manca solo la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, con cui il segretario della Lega polemizza a giorni alterni, e la lista del “rimpasto” sarebbe al completo.
«Faremo una riflessione. Il vero grande tema è che forse la Lega ambisce, anche legittimamente, a qualche ministero in più, allora lo chieda», risponde ancora il capo politico grillino.
E anche se potrebbe basta, il confronto non si esaurisce qui. Perché Salvini getta sale su altre ferite aperte, come il decreto sicurezza bis, su cui la prossima settimana il Senato sarà chiamato a votare la fiducia al governo. «E che cosa dovevamo fare?», si chiede il ministro dell’Interno. «Il Pd ha presentato 1.200 emendamenti, non il modo migliore per impostare una discussione seria. Così, almeno vedremo se questo governo ha una maggioranza…», chiosa, alludendo ai già annunciati voti contrari di alcuni senatori cinquestelle. Potrebbe essere l’incidente d’Aula atteso da mesi, su cui davvero potrebbe arrivare la fine dell’esecutivo giallo- verde.