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Matteo Salvini incontra il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Ventiquattro ore «intense». Così il leader della Lega Matteo Salvini ha definito ieri in un punto stampa a Gerusalemme la sua due giorni di incontro in Israele, dove ieri, dopo aver incontrato il premier Netanyahu, il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar e quello per la Diaspora Amichai Chikli, ha avuto un faccia a faccia con la ministra dei Trasporti Miri Regev e con il presidente della Knesset, Amir Ohana. «In tutti gli incontro ho parlato a nome e per conto del governo e dell’Italia e a latere anche da segretario della Lega - ha detto Salvini - Sono ore delicate in Israele: spero che nei prossimi giorni, da qui a sabato, non si torni indietro e che, quindi, la liberazione degli ostaggi proceda come pattuito ma ho trovato singolare e mi fa orrore il fatto che alcuni media sia in Italia che in Israele abbiano messo sullo stesso piano Trump e Hamas». Secondo il leader della Lega «l’eradicazione» di Hamas «è presupposto per qualsiasi altro ragionamento» e Salvini si è poi detto «orgoglioso di aver stretto la mano al premier democraticamente eletto dello Stato d’Israele». Ragionando con lui anche «dei limiti di alcuni organismi sovranazionali, tra cui la Corte penale internazionale».
Ed è proprio su questo punto che il viaggio del vicepresidente del Consiglio si è intrecciato con le vicende di casa nostra, vista l’indagine a cui l’Italia è sottoposta proprio dalla Cpi per il caso Almasri. «Sono contento che il governo abbia deciso di non accodarsi ad altri governi in una critica preconcetta nei confronti dell’amministrazione Trump e se c’è speranza di pace qua e al confine russo- ucraino è grazie ad essa - ha sottolineato il numero uno di via Bellerio - Torno a Roma con un bagaglio di ottime relazioni e di reciproca stima e fiducia».
La visita di Salvini ha dunque ribadito il posizionamento dell’Italia già più volte espresso dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni sia sulla questione arabo- israeliana, con la condanna ferma e risoluta degli attacchi del 7 ottobre e in generale del terrorismo di Hamas, sia sul fronte americano con il sostegno al neopresidente Donald Trump anche costo di prendere decisioni contrarie a quelle dei principali alleati europei, come nel caso della condanna non firmata alle sanzioni imposte da Washington alla Cpi.
Dall’altro lato, tuttavia, l’attivismo del segretario leghista può essere inquadrato sia come il tentativo di essere visto come interlocutore credibile agli occhi dei principali player internazionali, da qui l’incontro con il ministro degli Esteri di Tel Aviv che può aver fatto storcere la bocca l nostro titolare della Farnesina, Antonio Tajani, sia come ennesima tirata per la giacchetta a Donald Trump nell’infinito tentativo di accreditarsi agli occhi del tycoon come personalità politica al pari di Giorgia Meloni, pur non essendolo.
Ma neanche il tempo di chiudere il dossier israeliano che Salvini è tornato a Roma dove oggi ha convocato il Consiglio federale della Lega per discutere in particolare di pace fiscale, considerata la priorità del Carroccio in questo 2025. «Trecentottanta miliardi di euro regolarmente dichiarati da cittadini e imprese tra il 2017 e il 2023 e non incassati dallo Stato: partendo da questo dato dell’Agenzia delle Entrate, alla vigilia del consiglio federale di domani Matteo Salvini si è confrontato con i responsabili economici della Lega sulla rottamazione delle cartelle», ha spiegato ieri una nota leghista».
Per Salvini «la pace fiscale sarebbe un vantaggio per gli italiani, non evasori in malafede e troppo spesso disperati, e lo Stato: la Lega è pronta a formalizzare una proposta dettagliata che condivideremo con gli alleati come da programma elettorale».
A seguire il dossier per via Bellerio è il responsabile Fisco nonché presidente della commissione Attività produttive, Commercio e Turismo della Camera, Alberto Gusmeroli, che ha più volte ribadito la necessità di «rate a lungo termine» .