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Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini
La resistenza di Salvini all'invio di truppe italiane nella missione di peacekeeping in Ucraina non è nemmeno una tempesta in un bicchier d'acqua. È una pura sceneggiata come lo è in buona misura gran parte dei discorsi di questi giorni. I manifesti della Lega possono anche recitare “Soldati italiani in Ucraina? No grazie”, il leader può anche bersagliare Macron che ' ogni tanto torna con la proposta dei soldati' ma alla fine la posizione del capo leghista è identica a quella della premier e di Tajani: “Soldati italiani? Sì grazie ma solo in una missione Onu”.
Certo Salvini fa la sua parte in commedia e quindi deve apparire un bel po' meno convinto degli alleati: «Bisogna valutare come e con chi, evitare salti in avanti. Prima che parta un solo soldato italiano dovranno essere molto convincenti». Ma, sfumature a parte, la maggioranza parla la stessa lingua: Nessuna missione se non su mandato dell'Onu. Del resto la stessa proposta di Macron e dell'inglese Starmer è più sceneggiata che altro. La Russia ha già detto che significherebbe solo prolungare la guerra. I tedeschi si erano sfilati per tempo, i polacchi e gli italiani pure. E' una chiacchiera.
Una missione Onu sarebbe tutt'altra storia. Dovrebbe deciderla il Consiglio di sicurezza. Dunque partirebbe solo con il semaforo verde della stessa Russia e a quel punto nessuno, neppure il ringhioso ministro dei Trasporti avrebbe più niente da ridire. Anche perché a quel punto le armi avrebbero già smesso di tuonare: forse non per la pace vera e propria ma almeno per una tregua che ne sarebbe il prologo.
Solo che anche da quel punto di vista è peggio che andar di notte. Gli europei, ed evidentemente lo stesso Trump, danno per assodata la disponibilità di Zelensky a cedere alla Russia i territori che ha già occupato. La premier italiana al G7, come anche ieri dopo l'incontro con il primo ministro svedese Kristersson, è stata ben attenta a non citare neppure alla lontana l'integrità territoriale dell'Ucraina e in realtà ha glissato anche su un altro punto che prima di Trump era fermissimo: la possibilità di una pace solo se accettata dall'Ucraina.
Non sembra però che Zelensky sia d'accordo: «L'integrità territoriale, la sovranità e la sicurezza dell'Ucraina non sono e non saranno soggette ad alcun compromesso». Il presidente ucraino parlava nel giorno dedicato alla resistenza della Crimea e ha quindi esaltato «la resistenza dalla Crimea, la resistenza da tutta l'Ucraina». Su queste basi è difficile non dare ragione, per una volta, proprio a Salvini quando liquida la baruffa virtuale sui soldati italiani in Ucraina affermando che «oggi non ha senso».
Poi ci sono le garanzie per la sicurezza futura dell'Ucraina e quello è un tema che campeggerebbe anche nella improbabile ipotesi che l'Ucraina accettasse di cedere un quinto del proprio territorio. Ieri la premier italiana qualcosa sul tema, nell'incontro con la stampa dopo l'incontro con il premier svedese ha detto: «La pace è raggiungibile solo se a Kiev vengono fornite adeguate garanzie di sicurezza. Devono essere realizzate nel contesto della Nato, la cornice migliore per una pace né fragile né temporanea. Altre soluzioni sono più complesse e meno efficaci».
La formula volutamente vaga adoperata dalla premier, «nel contesto della Nato», può voler dire molte cose e molto diverse tra loro. Tra queste però quasi nessuna, e forse proprio nessuna, sarebbe accettabile per Putin che ha scatenato la guerra per diverse ragioni, tra le quali impedire l'adesione dell'Ucraina alla Nato non era in fondo alla lista. E' vero che a palazzo Chigi circola un'ipotesi funambolica: l'Ucraina fuori dalla Nato, dunque senza basi e missili alle porte della Russia, però garantita dall'art. 5 dell'Alleanza, quello che impegna tutti i Paesi dell'Alleanza stessa a intervenire in caso di aggressione contro uno di loro. L'Ucraina non farebbe parte della lista ma godrebbe lo stesso dell'ombrello. Non è una strada del tutto impraticabile, come sarebbe invece l'adesione di Kiev all'Alleanza atlantica, ma le difficoltà sarebbe ugualmente tante da comporre un'enciclopedia.
L'Italia, come l'intera Europa e il Regno Unito, si muovono a tentoni nel buio, senza avere la minima idea di quale sia il quadro reale a partire dal quale dovrebbero fare le loro scelte. In questa situazione una sola cosa è già chiara e certa: le spese per la difesa s'impenneranno e alla fine sarà questo il solo tema centrale non solo nel vertice di domenica a Londra ma anche nel Consiglio europeo straordinario convocato per il 6 marzo.