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La trovata è fragorosa, probabilmente studiata apposta per garantirsi il massimo di resa propagandistica. Un censimento dei rom residenti in Italia: «Mi sto facendo preparare un dossier al ministero perché dopo il censimento Maroni non si è fatto più nulla ed è il caos», annuncia Salvini. A cosa serve: a espellere gli stranieri irregolari mentre «i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa». Casomai ci fossero dubbi sul tasso di ostilità all’origine dell’idea del ministro degli Interni, l’ultima fase basta e avanza a fugarli. Il leghista è astuto. Sa perfettamente che i rom nel paese godono di poche simpatie. Presume che la mossa sarà probabilmente anche più popolare del blocco dei porti per i rifugiati. Non è affatto escluso che abbia ragione. Bersagliato da critiche, si difende con un tweet: «Qualcuno parla di shock. Perché??? Io penso anche a quei poveri bambini educati al furto e all’illegalità».
Cosa Salvini intenda in realtà non è chiaro. Un censimento su base etnica in Italia non è legalmente possibile. L’idea del ministro è quella di censire, sulla base dei dati del Viminale, i detenuti rom in modo da espellere gli stranieri. La trovata coniuga così sia la campagna anti rom che quella contro i clandestini, con la detenzione a santificare il tutto agli occhi di una parte sostanziosa, stando ai sondaggi maggioritaria, della popolazione. Ma se la scelta clamorosa di chiudere i porti per l’Aquarius rispondeva anche a una strategia europea, condivisa con la destra di parecchi Paesi Germania inclusa, con obiettivo la chiusura blindata dei confini, la sparata di ieri sul censimento è a uso principalmente interno e propagandistico.
Ma è un’idea che, soprattutto in un Paese che ci è già passato, non può non evocare spettri e ricordi sinistri. Un censimento su base etnica e discriminatoria c’è già stato, il 22 agosto del 1938, con gli ebrei come oggetto. Le leggi razziali ancora non c’erano, la campagna antisemita era in corso già da mesi. Che a ispirare il duce fosse la Germania nazista è fuori dubbio, ma non ci furono pressioni da parte di un Fuhrer che considerava ancora il duce un ' pari grado', in un rapporto molto diverso da quello di sudditanza italiana che si sarebbe instaurato cinque anni più tardi, dopo l’ 8 settembre. La scelta di seguire la Germania sulla strada dell’antisemitismo Mussolini la prese da solo.
Il 16 febbraio del 1938 il duce assunse per la prima volta una esplicita posizione antisemita. Subito dopo 10 ' studiosi' vennero messi al lavoro con l’obiettivo di produrre un Manifesto degli scienziati razzisti, diventato subito più concisamente il Manifesto della razza. I dieci firmatari ci misero il nome, Mussolini confidò però al genero Galeazzo Ciano di aver redatto il testo personalmente quasi per intero. Fu pubblicato il 13 luglio sul Giornale d’Italia e riproposto un mese dopo circa sul neonato quindicinale La difesa della razza, diretto da Telesio Interlandi. Redattore capo era Giorgio Almirante ma giova ricordare che tra i collaboratori figuravano un paio di giovanotti destinati a un grande futuro: Amintore Fanfani e Giovanni Spadolini. Il contenuto del pomposo Manifesto era semplice: le razze esistono gli italiani sono di razza ariana. Agli ebrei era dedicato il punto 9: ' Gli ebrei non appartengono alla razza italiana'.
Già, ma chi erano ' gli ebrei'? In Italia, a differenza che in Germania, non esisteva un radicato antisemitismo razziale e il ricordo dell’antigiudaismo cristiano era impallidito parecchio. Prima di perseguitarli, gli ebrei bisognava dunque ' crearli', renderli identificabli, trasformarli in un problema. Il 30% dei matrimoni era misto. Gli ebrei, peraltro pochi, erano presenti a ogni livello sociale. Il censimento servì a schedare i 47mila ebrei italiani ma, ancor di più, servì a evidenziarli, a costituirli come ' razza'. I dottori della razza stabilirono che era ebreo: chi avesse entrambi genitori ebrei, chi fosse figlio di un genitore ebreo e dell’altro straniero, i figli di madre ebrea e padre ignoto i figli di matrimoni misti che professassero la religione ebraico. Anche in questa nutrita casistica, venivano tuttavia considerati non ebrei coloro che la Commissione per la discriminazione decidesse di ' arianizzare' a propria discrezione. Il regime si adeguò rapidamente alle scelte del capo. La principale eccezione fu Italo Balbo contrario alla discriminazione. Quando un ristorante di Bologna rifiutò di servire un suo ospite ebreo buttò giù la porta a calci e il pranzo fu servito subito dopo.
Subito dopo il censimento, il 5 e il 7 settembre vennero emanati i primi due decreti razziali, firmati da Mussolini. Il primo vietava l’istruzione pubblica a studenti e docenti ebrei, il secondo imponeva agli stranieri ebrei di lasciare subito il Paese. Seguirono, fino al 1943, circa 180 decreti. Furono vietati i matrimoni misti, gli ebrei furono allontanati dalla pubblica amministrazione, gli fu vietato di essere proprietari o dirigenti d’azienda, di assumere ariani alle loro dipendenze. Fu vietato l’accesso a una quantità di professioni e al servizio militare. Poi col tempo la rete delle proibizioni si allargò. Vietato vendere tabacchi, libri, radio, penne e matite. Proibito affittare camere, gestire sale da ballo, fare gli attori, i registi, gli scenografi, i tipografi. Ma la lista è troppo lunga per enumerare tutti i divieti. Così, quando Salvini assicura che in un censimento non c’è nulla di male, a me inevitabilmente viene in mente il racconto di mia madre, quando allora quattordicenne, vide irrompere in classe un paio d funzionari, nell’autunno del 1938. Erano incaricati di spiegare a lei e a tutti i compagni di classe che era indegna di chiamarsi italiana e doveva lasciare subito la classe, coperta di vergogna e senza capire bene cosa stesse succedendo e perché proprio a lei.