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Per cambiare nome al partito- movimento che creò Umberto Bossi, federando a Pieve Emanuele tutte le Leghe in un’unica Lega Nord, occorre cambiare lo statuto e quindi ci vuole un congresso. Ma, intanto, Matteo Salvini, ovvero Matteo/ 2, l’altro rottamatore, in un consiglio federale che lo ha seguito granitico, compresi i due potenti governatori Luca Zaia e Roberto Maroni, del Veneto e della Lombardia, freschi ( Zaia soprattutto) di un plebiscito autonomista ai referendum, ha dato già la picconata decisiva: via la parola Nord dal marchio elettorale che verrà presentato in tutt’Italia. Si chiamerà solo “Lega”, come, annuncia vittorioso Salvini, «si chiama ormai da molto tempo: e che vado a Taranto con nel simbolo la parola Nord?». Via il “Nord”, dunque. Potrebbe sembrare un controsenso proprio ora che il “Lombardo- Veneto” ha detto quasi a valanga Sì all’autonomia. Ma, a dispetto della vulgata secondo la quale Salvini avrebbe sofferto questo referendum che conferma le radici nordiste del Carroccio, una consultazione che lo avrebbe messo in contrapposizione con Maroni e Zaia, il segretario che vuole fare della Lega che fu di Bossi un partito nazionale e la settimana prossima andrà a giocarsi anche lui la sua partita in Sicilia, si conferma il vero uomo forte di Via Bellerio. I suoi fedelissimi fanno notare a Il Dubbio: «Salvini è stato plebiscitato da un congresso che l’ha visto vittorioso con oltre l’ 80 per cento. E negli ultimi sondaggi la Lega è cresciuta fino al 15 per cento, risuperando Forza Italia». In quello che “Bobo” Maroni definì «l’ultimo partito leninista» e che quindi obbedisce a un solo leader, sempre che questo continui a vincere, passa la «rottamazione» della parola Nord. D’accordo i governatori, l’ancora potente Roberto Calderoli e l’ancora più potente vicesegretario federale Giancarlo Giorgetti, l’economista bocconiano che conosce Mario Draghi. Prevede Salvini: «La Lega sarà in Europa l’unico dei cosiddetti partiti populisti che andrà al governo». Una Lega che vuole «un‘ Italia federalista» che si collegherà all’autonomia di altre Regioni del Sud. In pochi attimi, nel fortino di Via Bellerio a Milano, si è consumata una lunga storia, la cui conclusione però era già scritta nei fatti. Un epilogo che non può che amareggiare, anzi far infuriare il padre- fondatore, tutt’ora presidente della Lega Umberto Bossi. Il leggendario ex gran “Capo padano”, quello della secessione che poi rimodulò in devoluzione, arriva in ritardo e urla in faccia a Salvini, secondo alcune indiscrezioni: «Fascista, nazionalista!». Tutto ciò, ironia della sorte, avviene proprio nel momento in cui la Catalogna proclama la propria “indipendenza”. Ma “l’ultimo partito leninista” segue compatto la svolta salviniana. «Tutti allineati, Zaia e Maroni compresi», annuncia il segretario. Salvini dice anche che ora «la Lega farà un passo indietro» rispetto alla gestione del risultato dei due referendum, per i quali «Maroni e Zaia si muoveranno insieme nei confronti del governo». Sembrano quindi appianate le divergenze sorte subito dopo che Zaia aveva rilanciato con la richiesta di uno Statuto speciale per il Veneto. Zaia con tutti i suoi leader si è sempre comportato da vero “soldato”, conoscendo bene le regole dell’ “ultimo partito leninista” ma ora si ritiene “un soldato” del Veneto. E quindi resiste alle sirene berlusconiane che lo vorrebbero lanciare per la leadership nazionale. C’è una sola persona che lo potrebbe convincere un giorno il suo capo, Salvini, con il quale ha un asse di ferro, consolidatosi sull’espulsione di Flavio Tosi. Ma questo potrebbe accadere al prossimo giro, alle elezioni dopo quelle del 2018. Ora il candidato premier è Salvini, che dopo il varo della legge elettorale vuole andare a votare «anche a gennaio sotto la neve». Ma, intanto Berlusconi che vedrà Salvini e Giorgia Meloni dopo le elezioni del 5 novembre in Sicilia fa sempre leva contro la Lega sovranista di Salvini sulla Lega del Nord, quella di governo. E secondo i maligni Maroni, il cui fedelissimo assessore Gianni Fava è stato l’unico a dichiarare contro il cambio del marchio elettorale, è sempre considerato a Arcore tra i papabili nella rosa dei potenziali candidati premier del centrodestra. Ultimo mistero: Bossi ora sarà ricandidato? Una cosa è certa: l’effige di Alberto da Giussano dovrebbe rimanere.