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Sahra Wagenknecht
Non è affatto semplice collocare la 55enne Sahra Wagenknecht all’interno dello scacchiere politico tedesco. La grande vincitrice delle elezioni regionali in Turingia e Sassonia (oltre all’estrema destra dell’Afp) è in un certo senso un oggetto misterioso, indecifrabile, inatteso. La sua lista personale (Bsw, acronimo di “Alleanza per Sahra Wagenknecht), lanciata appena sette mesi fa, ha infatti sorpreso un po’ tutti, raccogliendo rispettivamente il 15,6% e l’ 11,5% dei voti nei due lander dell’est. E lei, con il suo carisma, con il suo saper parlare alle classi popolari, con le sue indiscusse capacità oratorie, si candida a diventare un personaggio centrale della politica d’oltrereno dei prossimi anni.
I grandi media, in modo un po’ sbrigativo, la liquidano come una “rossobruna”, sottolineando la sua provenienza comunista e il recente approdo nazionalista, classificandola senza sfumature nella casella generica del populismo europeo. Secondo questa lettura, Wagenknecht e il leader emergente dell’Afp, Bjoern Hoecke, sarebbero “due facce della stessa medaglia” due estremi che si toccano uniti dall’odio per la democrazia liberale e dall’obiettivo comune di sfasciare il sistema. La stessa, banalissima suggestione giornalistica che si fa citando la Francia, con l’assimilazione tra la Fi di Jean Luc Mélenchon e il Ressemblemnt National di Marine Le Pen.
Il Bsw non è una «Afd di sinistra» come scrivono alcuni giornali tedeschi, e la storia politica di Sahra Wagenknecht non ha nulla a che vedere con le nostalgie naziste, con i deliri xenofobi sulla sostituzione etnica e con tutto il lugubre armamentario ideologico di Alternative für Deutschland.
Moglie dell’ex ministro delle finanze, il socialdemocratico “eretico” Oscar Lafontaine, Wagenknecht, alla riunificazione della Germania ha fatto parte dell’ala “marxista- leninista” della Pds ed è tra i fondatori della Linke nata nel 2007, un partito dove è rimasta a lungo lontana dalla dirigenza per via delle sue aperte simpatie per l’ex regime socialista della Ddr.
Ispirandosi al modello movimentista di Mélenchon e agli spagnoli di Podemos, lo scorso autunno, durante il congresso della Linke consuma la rottura e ai primi di gennaio lancia il suo partito che definisce «naturalmente di sinistra», nato con l’idea di «riconquistare i voti popolari passati all’Afd». E in parte è così: la parola d’ordine della campagna elettorale è stata infatti «giustizia sociale», difesa del welfare e delle protezioni per le classi deboli, aumento del salario minimo, delle pensioni, delle tasse per i più ricchi e lotta senza quartiere alle rendite finanziarie.
Tutto diventa più complicato quando si tocca il dossier rovente dell’immigrazione, fondo di commercio permanente per il consenso politico contemporaneo. Pur criticando le idee e il linguaggio razzista dell’Afd, Wagenknecht si oppone con fermezza all’ «immigrazione incontrollata», ritiene «troppo elevato» il numero di migranti in Germania, vuole tagliare gli aiuti ai richiedenti asilo ed è favorevole alla creazione di centri di accoglienza da collocare fuori dall’Unione europea.
Molto tiepido il suo impegno ambientalista come le dichiarazioni per contrastare il cambiamento climatico, un tema che reputa marginale rispetto alla questione sociale. Non a caso tra i principali bersagli delle sue invettive c’è «la sinistra lifestyle e benestante delle grandi città, ossessionata dalle piste ciclabili e dalle questioni di genere» a discapito della lotta alla povertà e alle ingiustizie economiche. La cosiddetta “cultura woke”, nata nelle università americane e poi diventata egemone tra gli intellettuali europei che per, Wagenknecht, ha il subdolo compito di distogliere l’attenzione dai “veri” problemi che affliggono la società tedesca.
In politica estera, se non proprio filo-russse, le sue posizioni sono molto critiche nei confronti della Nato che ritiene corresponsabile della crisi in Ucraina anche se ha criticato più volte l’invasione delle truppe di Mosca.
Ammiratrice della Cuba castrista e del Venezuela di Chavez e Maduro, è ovviamente contraria all’adesione di Kiev all’Ue e all’invio di armi da parte del governo Scholtz: «In questo modo, la guerra andrà avanti chissà per quanto, in questo modo la sinistra tradisce il suo Dna pacifista».