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Il tribunale di Milano si riorganizza in vista dell’imminente lockdown: si va verso una "stretta" delle udienze dopo l’ultimo Dpcm che vede la Lombardia tra le regioni più a rischio e Milano come possibile "zona rossa". In assenza di un provvedimento specifico che di fatto "blocchi" l’attività della giustizia, si corre ai ripari visto anche il numero di positivi all’interno del Palazzo di giustizia e il rafforzamento dello smart working. I vertici del tribunale, in collaborazione con procura e Ordine degli avvocati, stanno valutando una riorganizzazione per affrontare i nuovi provvedimenti presi dal governo per cercare di frenare l’emergenza Covid. In questo senso, rientra la recente decisione di far assistere gli imputati detenuti da remoto, svolgere le udienze di convalida in videoconferenza, incentivare l’uso della pec per il deposito degli atti o ricevere gli avvocati solo su appuntamento. Proprio ieri la Camera penale di Milano scriveva al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per chiedere di rivolgere una «particolare attenzione» al tribunale di Sorveglianza di Milano e «dotarlo di miglioria attrezzature informatiche». «Appare anche necessario dotare il tribunale di Sorveglianza di Milano di ulteriori aule di udienza, adeguatamente attrezzate (anche per le videoconferenze), in modo da consentire la prosecuzione della sua indispensabile attività, in un periodo in cui il rischio di contagio in carcere va scongiurato con ogni strumento», scrivono i penalisti nella lettera. «Da quel che abbiamo appreso dal presidente del Tribunale di Sorveglianza - si legge - i sistemi informatici di tale ufficio (il Sius in particolare) appaiono non adeguati per affrontare l’emergenza del momento». Il tribunale di Sorveglianza di Milano «ha un enorme carico di attività da gestire». L’arretrato è sempre stato significativo, ed oggi la situazione «rischia di peggiorare ulteriormente» in quanto «deve farsi carico di tutte le decisioni che s’impongono con urgenza in ragione dell’effetto dirompente che può avere il rischio pandemico negli istituti di pena», conclude la lettera.