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Gli strascichi di “the family” - alias la famiglia Bossi, ma anche il nome dell’inchiesta sui fondi della Lega - tornano a perseguitare il nuovo leader della Lega (nel frattempo affrancata dall’apposizione “Nord”), Matteo Salvini. Il numero è a otto cifre: per l’esattezza 48 milioni 969.617 euro. Tanti sono i denari che lo Stato pretende dalla Lega Nord a titolo di confisca, secondo la sentenza in primo grado che ha condannato il Senatur Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito per truffa ai danni dello Stato. Il ministro dell’Interno ha gridato allo scandalo, definendo «sentenza politica» la decisione della Cassazione, che avalla la tesi dei pm sulla legittimità del sequestro di ogni provente presente e futuro che mai transiterà sui conti del Carroccio. Ripercorrendo con ordine la vicenda, tutto inizia esattamente dieci anni fa. I rendiconti Secondo i giudici di Genova e di Milano (i filoni di inchiesta sono due), nel periodo tra il 2008 e il 2012 la Lega Nord presenta rendiconti irregolari al Parlamento, al fine di ottenere in modo indebito fondi pubblici. Parte di questo denaro, inoltre, è stato usato per pagare le spese personali della famiglia Bossi (tra le varie, la famosa laurea comprata a Renzo “Il Trota” Bossi in un’università albanese), in difformità con le prescrizioni di legge che disciplinano l’uso dei finanziamenti ricevuti a rimborso delle spese elettorali. Bossi padre, Belsito sono stati dunque condannati insieme a tre revisori contabili del partito: il tribunale di Genova, con sentenza del settembre 2017, ha disposto oltre alla pena detentiva, anche «la confisca diretta a carico della “Lega Nord” della somma di euro 48.696.617», che viene considerata dal tribunale come «la somma corrispondente al profitto dei reati commessi e costituito dalle somme erogate». Secondo i giudici, dunque, vanno recuperati all’erario tutti i finanziamenti ricevuti dalla Lega Nord in quell’arco di tempo. Di conseguenza alla condanna, il pm chiede e ottiene l’emissione di un sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta della somma dai conti della Lega, «fino alla concorrenza» dei quasi 49 milioni di euro (provvedimento che, come sottolinea la Cassazione, la Lega Nord non impugna). In sede di esecuzione, però, sui conti del partito ci sono solo 3milioni e su questo elemento si incardina il ricorso in Cassazione che ha portato allo scontro tra Salvini e i giudici. Le somme “depositande” Il pm ritiene che l’esecuzione del decreto di sequestro non riguardi solo le somme presenti sui conti al momento dell’esecuzione, ma anche le somme che saranno depositate in futuro. Il Tribunale di Genova, però, specifica in una nota che «le somme da sottoporre a sequestro sono quelle depositate» e non «quelle depositande che sarebbero affluite in un momento successivo alla notifica ed esecuzione del provvedimento». La procura appella la decisione davanti al Tribunale del Riesame, che tuttavia la dichiara inammissibile; chiede poi al Tribunale di estendere l’esecuzione anche alle somme depositande, ma la richiesta viene respinta. Il pm non demorde e appella ancora al Tribunale del Riesame, che respinge di nuovo il ricorso. Infine, la procura ricorre in Cassazione avverso la decisione del Riesame e l’affare-Lega finisce davanti alla Suprema Corte, chiamata a decidere su una questione incidentale: se sia corretta la decisione di considerare illegittima la richiesta dei pm di estendere l’esecuzione del sequestro fino alla concorrenza dell’importo dei 49 milioni, aggredendo anche le ulteriori somme confluite sui conti della Lega anche dopo la data del decreto. Il via libera La linea del pm è che, «una volta stabilito che, quando il profitto e il prezzo del reato è costituito da denaro, non occorre dimostrare il nesso di pertinenzialità tra le somme da sottoporre a sequestro e il reato, non può evidentemente porsi un limite di carattere temporale all’esecuzione del sequestro, ma solo quello della concorrenza dell’importo complessivamente corrispondente al profitto o al prezzo del reato». In sostanza, il limite al sequestro è solo il raggiungimento della cifra da confiscare e, soprattutto, non importa che i soldi da sequestrare siano gli stessi illegalmente percepiti. Il denaro è un bene fungibile, quindi l’unico requisito è che si raggiunga la somma corrispondente, anche sequestrando i profitti attuali e futuri della Lega che derivano da condotte lecite (comprese le donazioni private al partito e i nuovi rimborsi, per esempio). Così la Cassazione ha risolto il braccio di ferro tra giudici e pm in favore di questi ultimi.<+bold_giust>Che succede ora<+tondo_giust>Per ora, come sottolinea il procuratore capo di Genova, non è stato disposto alcun sequestro. La pronuncia, infatti, ha accolto il ricorso della Procura mas con rinvio, rimettendo quindi il nuovo esame al Tribunale del Riesame di Genova, il quale dovrà tenere conto nella sua decisione delle considerazioni della Suprema Corte. I tempi, insomma, potrebbero allungarsi ma è certo che, se il Riesame seguirà la Cassazione, tutti i conti del partito saranno sequestrati anche per somme future. Il Carroccio, oltre agli attacchi di Salvini, sta correndo ai ripari. L’exit strategy per garantire la sopravvivenza della Lega potrebbe essere quella di rompere definitivamente i cordoni anche giuridici con la Lega bossiana, cambiando personalità giuridica con un nuovo soggetto politico.