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Prossima tappa: abolizione del Cnel. Potrebbe essere questo l’obiettivo futuro del Movimento 5 Stelle, che negli ultimi tempi sembra aver rivalutato, e di molto, la fallita riforma costituzionale di Matteo Renzi.
Battute a parrte, dopo aver sfoltito il Parlamento, come previsto, anche se in maniera diversa, dal referendum del 2016, ora i grillini vogliono rispolverare a tutti i costi un altro punto cardine di quella riforma per farne una battaglia identitaria: la revisione del Titolo V della Costituzione, la parte della Carta in cui vengono disegnati confini e competenze della autonomie locali ( Comuni, Province e Regioni). La pandemia ha infatti messo in evidenza tutti i limiti di una gestione a macchia di leopardo dei sistemi sanitari regionali, mandando in crisi un modello, il federalismo a tutti i costi, rivelatosi incapace di rispondere in maniera adeguata all’emergenza. Da qui l’illuminazione: Luigi Di Maio e compagni, alle prese con una delicatissima transizione interna, si lanciano in una nuova giravolta, e quello che un tempo era considerato un male assoluto per il Paese, la riforma del regionalismo, si trasforma in una priorità.
«Una volta terminata l’emergenza bisognerà rimettere mano al Titolo V», dice il capo politico Vito Crimi. La linea è stata tracciata. E qualora ce ne fosse bisogno, è lo stesso Di Maio a ribadire il concetto. A emergenza finita «rivedremo alcuni equilibri tra Regioni e governo centrale», scandisce il ministro degli Esteri. E pensare che solo quattro anni fa Di Maio “smontava” la riforma Renzi che avrebbe riportato la Sanità tra le competenze esclusive dello Stato con queste parole: «Oggi già lo Stato centrale può decidere quali sono i livelli essenziali di assistenza, ma non li aggiorna da anni e non ci saranno migliori servizi. Quindi è falso. Come si migliora il problema della sanità in Italia? Togliendo ai politici la possibilità di nominare i dirigenti della sanità». Sarà stata la pandemia, sarà stata la fame di obiettivi politici, oggi i grillini hanno cambiato opinione. Del resto, il M5S, senza Regioni da governare e con un pugno di consiglieri sparsi in tutta Italia, è l’unica forza a potersi intestare una battaglia “anti federalista” senza rischiare crisi di consensi a livello locale e ribellioni interne.
In ogni caso, i ripensamenti sono sempre legittimi, a volte addirittura indispensabili, e i cinque stelle in questo non sono secondi a nessuno. E non serve scomodare Danilo Toninelli, che per affossare il referendum renziano - che avrebbe riformato e ridimensionato il Senato utilizzava le stesse argomentazioni di chi fino poche settimane fa si opponeva al taglio dei parlamentari («la democrazia non è un costo» ). La storia pentastellata è costellata di retromarce. E ora la vice presidente del Senato, Paola Taverna, ha depositato un disegno di legge a Palazzo Madama per rivedere «l’attuale impostazione del Titolo V» che ha mostrato «in questi mesi tutti i suoi lati oscuri e fallimentari e la necessità di provvedere quanto prima ad una sua revisione». Perché, dice Taverna, «vogliamo una sanità che sia universale, accessibile e uguale per tutti, da Nord a Sud», proprio come sosteneva Renzi nel 2016. Ma allora il mondo era diversa. E le priorità pure.
Tanto che a breve potrebbe cadere persino un altro tabù, il cuore della revisione costituzionale concepita dall’allora presidente del Consiglio e dalla ministra Maria Elena Boschi: il superamento del bicameralismo paritario. Perché in sede di verifica di governo, l’addio a due Camere con identiche funzioni figura in agenda. Entro il 3 dicembre si chiude il tavolo politico tra i capigruppo di maggioranza e il ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D’Incà. Ventinove i punti del programma di governo a cui fare un tagliando, con un focus sulle riforme in sette punti: legge elettorale, referendum propositivo, Titolo V, sfiducia costruttiva, decretazione urgenza, tutela ambiente e, ciliegina sulla torta, riforma del bicameralismo. A volerla è soprattutto il Pd, che, archiviato il taglio dei parlamentari, ha subito messo sul piatto della bilancia la, come contropartita, la proposta di revisione costituzionale. Di Maio, per ora finge di non essersene accorto, ma sa che sul bicameralismo i dem sono pronti ad alzare la voce. Male che vada, cambierà idea un’altra volta, mentre Renzi sorride amaro.