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La Corte d’Appello di Reggio Calabria conferma la decadenza del sindaco di Riace Antonio Trifoli. La sentenza, pronunciata il 7 ottobre scorso, apre ora la strada verso il commissariamento del paese dei Bronzi, oppure ad un periodo di reggenza da parte del vicesindaco Francesco Salerno, in attesa della pronuncia della Corte di Cassazione, qualora Trifoli decidesse di impugnare ulteriormente la sentenza. Improbabile, invece, la possibilità di ottenere una inibitoria della sentenza appena pronunciata da parte della stessa Corte d’Appello. La ragione del limite all’esercizio dell’elettorato passivo di Trifoli viene radicata dal Viminale «nell’inapplicabilità dell’istituto dell’aspettativa elettorale al dipendente assunto a tempo determinato, nell’ente comunale di riferimento, stante il divieto espresso dall’articolo 60 comma 8 del decreto legislativo 267/2000». Un divieto confermato dal Tribunale di Locri prima e dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria dopo.Trifoli, assunto con la qualifica di Istruttore di Vigilanza, categoria C, dal dicembre 2014, a tempo determinato, ha tentato di far passare il proprio rapporto di lavoro con l’Ente come quello di lavoratore socialmente utile, così com’era in origine. E per presentarsi alle elezioni aveva chiesto un’aspettativa all’Ente, concessa con delibera del 26 aprile scorso. Una richiesta poi rinnovata e accolta il 14 giugno successivo, ovvero quando ricopriva già la carica di sindaco. Secondo la Corte d’Appello, «la conservazione del posto di lavoro per tutta la durata dell’aspettativa elettorale (garantita al lavoratore a tempo indeterminato) non è strutturalmente compatibile con la fattispecie geneticamente complessa (esorbitante dall’ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo determinato) ora in esame in cui trattandosi di contratto stipulato con un ente pubblico, non v’è possibilità di trasformazione del contratto a tempo indeterminato ed al lavoratore, in ipotesi discriminato, spetta il risarcimento del danno; il contratto a tempo determinato è stato stipulato e le proroghe sono state adottate, non per esigenze del datore di lavoro, ma al fine di attuare la finalità solidaristica del processo di stabilizzazione del lavoratore, in vista di un miglioramento del suo status; gli oneri economici per la relativa attuazione sono sostenuti con fondi, non di provenienza del datore di lavoro, bensì con fondi appositamente erogati, con destinazione straordinaria, da soggetti terzi. L’aspettativa elettorale con conseguente diritto alla conservazione del posto di lavoro, non è, quindi, compatibile con questi ineliminabili presupposti, la cui predeterminazione e adozione esorbita dalle scelte del datore di lavoro, essendo squisitamente correlata alla realizzazione di una finalità di solidarietà sociale perseguita dallo Stato e con risorse dallo stesso assegnate».