PHOTO
Il secondo stop al decreto Sicurezza del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, arriva dal tribunale di Bologna, dopo quello di Firenze. Il giudice civile, infatti, ha accolto il ricorso presentato da due richiedenti asilo, a cui era stata negata l’iscrizione all’anagrafe come previsto dal decreto sicurezza, in quanto «la mancata iscrizione ai registri anagrafici impedisce l’esercizio di diritti di rilievo costituzionale ad essa connessi, tra i quali rientrano ad esempio quello all’istruzione e al lavoro». Per fare qualche esempio, senza un documento di identità i richiedenti asilo si trovano in difficoltà ad avere un medico di base, prendere la patente, iscriversi a un corso e anche avere un conto in banca su cui far versare lo stipendio. Non solo, il tribunale ha anche evidenziato come la norma voluta dal Viminale «non contiene un divieto esplicito di iscrizione per i richiedenti asilo, bensì evidenzia come il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non costituisce titolo per l’iscrizione all’anagrafe». Dunque, il giudice non ha concesso il permesso di soggiorno ma ha ritenuto che, in attesa di quella decisione, il richiedente asilo possa soggiornare per un tempo sufficiente ad ottenere l’iscrizione all’anagrafe. «Questa interpretazione - ha scritto la giudice Matilde Betti nella sentenza - offre una lettura della norma coerente col quadro normativo costituzionale e comunitario, altrimenti di dubbia tenuta». In sostanza. La decisione ha ritenuto che l’articolo 13 del decreto voluto dal ministro Salvini abbia eliminato unicamente l’automatismo che permetteva di richiedere l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo da parte dei centri di accoglienza, ma non impedisca di farlo.
Di grande soddisfazione le reazioni degli avvocati difensori, Nazzarena Zorzella e Antonio Mumolo: «In un momento di estremo imbarbarimento in cui si vuole dividere in cittadini di serie A e di serie B, ecco una sentenza che dà certezza ai valori garantiti dalla nostra costituzione». Opposte le reazioni, sui fronti politici. Da una parte il sindaco di Bologna, il dem Virginio Merola, ha commentato con soddisfazione la decisione, facendo sapere che «il Comune la applicherà senza opporsi» e ha attaccato il ministro dell’Interno: «La norma è illegittima e la magistratura è indipendente. Un ministro fa ricorso ma non minaccia i giudici di essere di parte”. Salvini, invece, ha manifestato tutto il suo disappunto con un tweet furioso: «Sentenza vergognosa. Se qualche giudice vuole fare politica e cambiare le leggi per aiutare gli immigrati, lasci il Tribunale e si candidi con la sinistra. Ovviamente faremo ricorso contro la sentenza, invito tutti i sindaci a rispettare la Legge».
Imemdiata la risposta dell’Associazione nazionale magistrati i quali fanno sapere che le dichiarazioni del ministro Salvini «delegittimano la magistratura in quanto, in maniera del tutto infondata, alludono al fatto che le sentenze possano essere influenzate da valutazioni politiche e che nella scelta sull’applicazione delle misure cautelari, basata esclusivamente sulla verifica della ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge, incida una incomprensibile tendenza dei giudici a scarcerare i presunti autori dei reati».
Per quel che riguarda la sentenza, affinché faccia stato nomofilattico sarà necessario aspettare il pronunciamento eventuale della Corte di Cassazione ( nel caso in cui il giudizio arrivi fino al grado di legittimità) o - per intaccare la legge su un eventuale fronte di incostituzionalità - che si arrivi a un giu- dizio davanti alla Corte Costituzionale, ma le sentenze di primo grado prima del tribunale di Firenze e ieri di quello di Bologna aprono comunque un fronte significativo sul piano giurisprudenziale. I giudici toscani, infatti, avevano ritenuto che «Ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale deve intendersi comunque regolarmente soggiornante, in quanto ha il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato durante l’esame della domanda di asilo». In caso contrario, il diniego risulterebbe discriminatorio. Il giudizio di primo grado fa stato solamente per i casi esaminati, ma potrebbero essere altri tribunali ad allinearsi a questa lettura della norma voluta da Salvini, di fatto bloccando uno degli effetti espressamente voluti dal ministro.
Il tema del trattamento giuridico dei migranti, dunque, rimane questione aperta. In merito, proprio ieri, la Cassazione ha assunto una decisione discordante rispetto alla sua stessa giurisprudenza, ritenendo che la nuova normativa sui permessi di soggiorno per i migranti, abbia «applicazione immediata» : una nozione che «è connaturata al principio di imperatività della legge», che altrimenti finirebbe «per applicarsi solo ai rapporti nuovi» e «mai a quelli in corso al momento della decisione».
Un’altra sentenza, questa, che riapre il tema della irretroattività della norma sulla sicurezza e i migranti.