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Accelerare sul congresso, ma senza dimettersi da segretario, facendo votare domani dall’Assemblea nazionale del Pd un ordine del giorno, da approvare a maggioranza, per tenere le assise anticipate a marzo ( data più probabile il 19).
Ci sarebbe anche un’altra ipotesi, ma quella significherebbe rompere almeno con la minoranza del Pd e mettere in sofferenza anche altre aree del partito, presentandosi alle primarie da tenersi sempre a marzo. Ma è lo stesso Renzi in serata a rilanciare dalla sua pagina facebook dove chiede ai cittadini di scrivergli idee e proposte «per far ripartire l’Italia» e questo «per i prossimi mille giorni». Altro che abbandono del campo. Ma l’obiettivo di Matteo Renzi è uno soltanto: elezioni anticipate, per le quali si ipotizzerebbe anche la data del 4 maggio. Nell’altalena di pensieri e decisioni che lo domina dopo la pesante sconfitta referendaria, Renzi, fino a ieri sera sembrava propenso per la prima scelta: accelerazione sul congresso. Nonostante le proteste della minoranza bersaniana, che, a norma di statuto, gli aveva chiesto di dimettersi se proprio vuole il congresso anticipato, nonostante il disagio e i mugugni crescenti che attraversano anche il corpaccione centrale del Pd fatto dalla potente corrente Areadem di Dario Franceschini e da settori dei Giovani Turchi di Matteo Orfini e il ministro della Giustizia Andrea Orlando, l’ex premier sarebbe intenzionato, come del resto aveva già annunciato nella riunione della direzione, ad andare alla sfida. E questo consapevole del fatto che gli altri non hanno ancora un contendente da contrapporgli che abbia la sua forza.
Renzi è assillato dal fattore tempo. Più le elezioni si allontanano, più il suo storytelling già ammaccato dal referendum perderà tutto lo smalto residuo. Visto che la strategia renziana sembra essere l’esatto opposto di quella dell’agire senza agire dell’ “Arte della guerra” di Sun Tzu, il libro cult dell’avversario interno numero uno Massimo D’Alema, l’ex premier sembra che non può fermarsi. Quindi, quello che ha detto papale papale il ministro del lavoro Poletti e cioè andare al voto in primavera per impedire il referendum sul jobs act, sembra essere esattamente la strategia di Renzi. Il quale però si sarebbe irritato per la “scivolata” del ministro, che ha poi fatto autocritica, soprattutto perché, come fanno notare nel Pd, con questa uscita Poletti avrebbe involontariamente mandato il messaggio che Renzi ha paura della sua stessa creatura più cara ( il jobs act) tanto da voler rinviare con il voto la consultazione della Cgil. Al di là di questo, quel che preme all’ex presi- dente del Consiglio è prendersi la rivincita. Ma nel Pd, proprio per il timore di “riandare a sbattere contro un muro” seguendo lo stesso schema del referendum, non solo nella minoranza bersaniana ma anche nelle altre aree sta crescendo una sorta di “Partito Gentiloni”, ovvero di tutti quelli che premono per la massima durata di questo esecutivo. E tra questi ci sarebbero governatori Pd del calibro di Chiamparino, Emiliano, de Luca. Non perché lo voglia il neopresidente del Consiglio, che certamente ha un patto con Renzi, ma perché al malessere del Pd si aggiungono e si potrebbero aggiungere altri oggettivi fattori, delle variabili indipendenti dalle volontà di Renzi e dello stesso premier, che potrebbero favorire il prolungamento della durata del governo. Intanto, la presidente della Camera Laura Boldrini, durante la cerimonia degli auguri di Natale con la stampa parlamentare, non solo ha ribadito, richiamando le parole dello stesso Gentiloni, che il governo dura finché avrà la fiducia, ma ha anche osservato che non si può agire usando l’arma del voto anticipato per evitare il referendum della Cgil. E un altro fattore che potrebbe allungare la vita al governo Gentiloni potrebbe paradossalmente essere la stessa scalata di Vivendi a Mediaset.
Cosa che potrebbe accentuare ancora di più il profilo di responsabilità che avrà l’opposizione di Forza Italia. Che FI avrebbe avuto un atteggiamento responsabile lo aveva già annunciato Silvio Berlusconi al Capo dello Stato durante le consultazioni al Quirinale. E che su certi provvedimenti come ad esempio quelli di politica estera gli azzurri potrebbero avere un atteggiamento di attenta valutazione è stato già detto dai forzisti. Sia Paolo Romani che Renato Brunetta, capigruppo al Senato e alla Camera, hanno apprezzato il “rispetto per le opposizioni” annunciato dal “Conte- premier”, come ormai Gentiloni è stato scherzosamente battezzato in Transatlantico. Ora è naturale che Berlusconi auspichi la più forte attenzione da parte del governo sulla vicenda Mediaset. Favorevolmente sono state già accolte le parole del ministro dello Sviluppo economico Calenda che ha parlato di “scalata inappropriata”. Ma, come dicono dentro FI, «Mediaset dovrà essere riconosciuta come vero e proprio asset strategico nazionale». Non solo, il profilo di opposizione responsabile da parte di Forza Italia potrebbe essere accentuato anche dalla elezione, data per probabile, di Antonio Tajani per il Ppe ( uno dei fondatori di FI) alla presidenza del Parlamento Europeo. Un posto chiave in Europa dal quale un azzurro della prima ora potrebbe dare una mano, a sua svolta, all’ex compagno di liceo Gentiloni ( erano tutti e due al Tasso di Roma insieme con Gasparri) sui nodi aperti con la Ue. Insomma, un quadro che non sarebbe esattamente quello auspicabile per Renzi. Che infatti domani dovrebbe rilanciare. A meno che Renzi non sorprenda tutti, tornando in una nuova versione.