I suoi avversari convengono coi suoi alleati su una cosa: Matteo Renzi ha tanti difetti, tranne quello dell'ambiguità. Da quando le sue valutazioni strategiche gli hanno suggerito un riavvicinamento al Pd, non si può dire che abbia sussurrato questa volontà.

Dal famoso abbraccio con Elly Schlein nel corso della partita amichevole della nazionale dei parlamentari (rigorosamente in favore di telecamera), da parte dell'ex-premier c'è stato un crescendo di dichiarazioni a riguardo, che hanno avuto l'effetto – ampiamente cercato dal diretto interessato – di obbligare i suoi interlocutori a una risposta sul merito.

E' un fatto acclarato, d'altra parte, che il dibattito estivo sul fronte del Campo Largo sia stato e sia ancora monopolizzato dalla questione “Renzi sì, Renzi no”, laddove il veto più grande alla saldatura tra i dem e il leader di Italia viva, notoriamente, è quello posto da Giuseppe Conte, alle prese con una serie di problemi interni che il via libera all'alleanza con Renzi non farebbe altro che esasperare.

Che fare, dunque, visto che in ogni caso molti degli stessi esponenti di centrosinistra concordano sul fatto che la coalizione non potrà mai attribuirsi una vocazione maggioritaria, senza la “terza gamba” di impostazione moderata e liberale, erede in un certo senso della Margherita, anche se in quest'ultima era prevalente il retaggio popolare e democristiano di sinistra? Come spesso accade, tra le righe la soluzione l'ha suggerita l'architetto delle operazioni politiche più rilevanti degli ultimi 30 anni nel campo progressista, e cioè Goffredo Bettini, che tra le medaglie appuntate sul suo petto può fregiarsi della “creazione” di Francesco Rutelli come candidato unitario di centrosinistra all'indomani dell'introduzione dell'elezione diretta del sindaco, che prevalse sulla concomitante “operazione Fini” avviata da Silvio Berlusconi, e recentemente dell'alleanza giallorossa coi grillini, rinnegata da Enrico Letta e rianimata da Elly Schlein.

Molti, al Nazareno, hanno voluto leggere in filigrana le parole di Bettini, che ha sottolineato l'esigenza di un “soggetto liberale” all'interno del Campo Largo ma allo stesso si è dichiarato scettico sull'appeal elettorale di una figura usurata come quella di Renzi, vedendoci una formula diversa, che consenta a Renzi di lavorare per coprire al centro la coalizione di centrosinistra, ma che eluda il veto di Conte e, soprattutto, lo porti lontano dai riflettori. E sempre dal Nazareno, qualcuno ha fatto filtrare (non curandosi però di quanto appoggio possa avere questa prospettiva) che la soluzione potrebbe essere quella di far rientrare Renzi nel Pd, con una procedura simile a quella che ha fatto tornare al Nazareno l'ala

bersaniana ed ex- dalemiana, che aveva fatto una scissione a sinistra proprio in rottura con l'ex- sindaco di Firenze. Come la prenderebbe gente come Bersani, Arturo Scotto, Andrea Orlando o Roberto Speranza, che tra l'altro deve a Conte molte delle sue fortune politiche? Per capirlo, in questo senso sono utili le parole di Nicola Zingaretti, sintetizzabili nel più classico degli “scurdammoce ò passato”: in politica, si sa, il tempo e i nuovi scenari macinano in fretta le tossine accumulate e di fronte al persistente veto dell'Avvocato del popolo non è mancato – in primis lo stesso Renzi – chi ha ricordato a Conte di aver presieduto un governo con Salvini ministro dell'Interno e di aver firmato i famigerati decreti sicurezza, rinfacciati anche a Strasburgo dal gruppo della Sinistra, nel quale ora il M5s è approdato. Non può dunque essere tirata in ballo la questione della coerenza politica, ma unicamente quella dell'antipatia personale e del danno elettorale.

C'è però un'altra strada, di fronte alla quale Conte non avrebbe molto margine per imporre la propria volontà, e cioè quella di un Renzi di nuovo iscritto ai dem e “padre nobile” dell'ala moderata del partito, che è ancora presidiata da alcuni suoi ex sodali che non lo hanno seguito quando ha deciso di dare vita a Italia Viva. Con le redini del Pd saldamente in mano a Schlein, probabilmente l'operazione sarebbe più digeribile per i bersaniani, e inoltre il leader pentastellato non potrebbe sindacare sulle scelte interne del Nazareno, anche perché lui per primo si trova a gestire una situazione nel Movimento, che per la prima volta presenta un aperto dissenso nei suoi confronti.

La questione dirimente, però, è quale sarebbe il saldo politico- elettorale di tutta l'operazione. Una parte di Italia Viva ha già fatto sapere che non farebbe la strada inversa assieme a Renzi, e guarda alla lanciatissima Forza Italia, e appare difficile, sul versante Azione, che ex forzisti come Carfagna e Gelmini pensino di stare nella stessa coalizione con Conte, ammesso che lo accettasse Carlo Calenda. E' possibile che gli ingegneri politici del Nazareno stiano già al lavoro per mettere a punto uno schema armonico e potenzialmente redditizio, ma al momento – si veda ad esempio la mossa di Tajani sullo ius scholae – appare di più facile lettura l'aggressione di Fi a una parte dei voti dem.