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Si potrebbe riassumere con “noi lo avevamo detto”. Che l’Umbria sarebbe stata una sconfitta era noto praticamente a tutti, ma le dimensioni della disfatta della coalizione giallorossa pesano quasi altrettanto e Italia Viva non ci sta a finire nel calderone. Ci ha provato Nicola Zingaretti, sostenendo che la debàlce sia figlia «delle scissioni» e delle «polemiche sulla manovra» ma Iv rispedisce al mittente le accuse. Matteo Renzi in prima persona stila un decalogo degli errori: primo tra tutti, quello di tirare in mezzo a una partita persa il governo, chiamando il premier Giuseppe Conte alla foto di gruppo con sconfitti, «una genialata dell’ultimo minuto» a cui Renzi ha scientemente deciso di non prendere parte e che gli permette un’altra considerazione sul governo: «Il tocco magico di Conte, quello che le veline sussurravano ai giornali, non c’è». Tradotto, se la legislatura è blindata ( grazie allo stesso Renzi e non a Zingaretti che voleva andare a votare, è il ragionamento di Italia Viva), altrettanto non può dirsi di Palazzo Chigi.Tra i renziani, però, c’è anche un altro sassolino nella scarpa. La volontà di andare a elezioni anticipate nell’ex feudo rosso è stata tutta di Nicola Zingaretti, che ha commissariato la regione inviando il fido Walter Verini a chiedere le dimissioni della presidente Catiuscia Marini alla notifica del primo avviso di garanzia per l’inchiesta sul presunto malaffare nella gestione della sanità. Lei, renziana doc, ha provato a resistere come ha potuto respingendo ogni accusa, ma la pressione del partito è stata troppa e ha dovuto farsi da parte. Oggi, all’indomani della sconfitta della sua ex parte politica, si è chiusa in un silenzio polemico: «Di questo “brillante” risultatochiedete conto a Zingaretti e Verini».Dunque, Renzi non ci sta a passare per il sabotatore della situazione: il Pd ha scelto di andare alle urne e ha scelto l’alleanza coi 5 Stelle ( «un accordo sbagliato nei tempi e nei modi e lo avevo detto a tutti i protagonisti. Non a caso Italia Viva è rimasta fuori dalla partita» ); ha scelto anche un candidato civico troppo debole per sostenere sulle sue spalle un fardello così impegnativo. La sintesi, dunque, per Renzi è una: se la sciagurata alleanza si replicasse anche altrove, «Per Italia viva si aprirebbe una prateria». Esattamente l’obiettivo per cui Italia Viva già lavora in Emilia Romagna, dove Renzi ha già chiuso col candidato dem e governatore uscente Stefano Bonaccini ( che dopo la sconfitta umbra deve misurare attentamente ogni passo verso le regionali) un accordo per sostenerlo, non già col proprio simbolo ma nel listino del candidato presidente. Il patto ha mandato su tutte le furie i dem, che vedono in questa mossa la volontà di Renzi di preservare un simbolo ancora acerbo ma di capitalizzare comunque il risultati, ma soprattutto minaccia di allontanare l’Emilia dalla via tracciata dall’emiliano e potente ministro Dario Franceschini, che fino a ieri teorizzava alleanze coi 5 Stelle in tutte le regioni. Del resto, Renzi non fa mistero né della sua vena combattente contro il suo ex partito, né della voglia di bruciare Zingaretti sul piano della tattica politica: «È stata una sorpresa la decisione di Pd e Cinque Stelle di testare alleanza in una partita che era persa in partenza. Dilettanti allo sbaraglio».Proprio su questo piano, Renzi non ha alcuna intenzione di rimanere in silenzio davanti agli attacchi dei suoi ex compagni di viaggio. «Sanno solo dire che è sempre colpa mia», commenta coi collaboratori più stretti. Poi, via whatsapp, lo traduce in ragionamento: Quando ho lasciato la guida del Pd nel marzo 2018, il Pd governa in 17 delle 21 regioni ( Trento/ Bolzano). Con Martina e Zingaretti siamo a 7 su 21.Paradossalmente, dunque, il cattivo risultato umbro fortifica la neonata Italia Viva: ora la strada è spianata per dire che, anche a sinistra, esiste un’alternativa.