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L’iter di approvazione della legge sul referendum propositivo si annuncia lungo e - probabilmente - accidentato. Lungo, a causa della procedura rafforzata richiesta per tutte le proposte di riforma costituzionale. Accidentato, per ragioni politiche. Le opposizioni hanno anticipato che daranno battaglia, mentre la Lega si è dimostrata più che fredda rispetto al provvedimento. Del resto, la proposta di legge costituzionale incardinata dai grillini alla Camera si inserisce nel solco dei più ortodossi tra i riti pentastellati: il mito della democrazia diretta.
La discussione generale sul testo è cominciata ieri alla Camera, dopo l’esame in commissione. Le opposizioni hanno alzato le barricate, presentando circa 700 emendamenti ( 490 da parte di Forza Italia, un centinaio del Pd) con l’obiettivo manifesto di toccare un punto esatto della riforma dell’articolo 71 della Costituzione ( in materia di iniziativa legislativa popolare e referendum): quello del quorum. Il primo testo non ne prevedeva nessuno ma, in una mediazione con i dem, è stato accolto l’emendamento di Stefano Ceccanti, che fissa il quorum di approvazione al 25% ( i “sì” dovranno essere almeno 12,5 milioni, un quarto del corpo elettorale).
La sponda 5 Stelle della maggioranza difende il testo: «Siamo di fronte a un bivio - ha spiegato il presidente della commissione Affari Costituzionali, Giuseppe Brescia - dare più potere ai cittadini non solo una volta ogni cinque anni. Rafforzare la democrazia diretta stimolerà l’azione delle Camere. Così istituzioni e cittadini ritroveranno quella sinergia ormai smarrita». I leghisti continuano a tacere, ma i dubbi sono stati palesati in separata sede e proprio su questo puntano a far leva Forza Italia e Pd, che hanno scelto come relatori di minoranza due giuristi: Francesco Paolo Sisto e Stefano Ceccanti ( insieme a Roberto Speranza).
Il provvedimento «non è per la democrazia diretta, ma per una democrazia diretta dalle lobby», ha tuonato Paolo Sisto, secondo cui «La funzione legislativa sarà appaltata a società di servizi che, attraverso 500 mila professionisti della firma, potranno mettere in difficoltà un intero Stato, senza limiti, intervenendo su tutte le materie». Punti maggiormente criticati, oltre alla mancanza di quorum, le materie oggetto di referendum: «Per questa via sarà possibile sottrarsi ai vincoli europei e legiferare in materia penale». La presidente dei deputati azzurri, Mariastella Gelmini, ha aggiunto che «sull’altare di un negoziato tra riforma costituzionale e legittima difesa si punta a scassare la democrazia rappresentativa. Da sempre Forza Italia è favorevole a tutti gli strumenti di partecipazione popolare, ma questo non può significare la deriva plebiscitaria e populista» . Meno tranciante ma comunque polemico, invece, è stato l’intervento di Ceccanti. I dem avevano trovato qualche convergenza coi grillini durante l’esame in Commissione sul quorum, ma «Le differenze con la proposta della maggioranza sono ancora profonde». Per il Pd, i problemi riguardano i limiti della riforma: «in particolare, le leggi di spesa» e «la legislazione penale e di procedura penale, facili oggetti di tentazioni populistiche». Inoltre, Ceccanti ha sollevato la questione del rapporto tra iniziativa popolare e risposta parlamentare. «La consultazione diventa un vero e proprio “ballottaggio” tra il testo di derivazione popolare e quello approvato dal Parlamento», «ponendosi chiaramente in una logica non di complementarietà, ma di alternatività», «inoltre, in caso di “vittoria” del progetto popolare su quello parlamentare, ci si troverebbe di fronte ad un atto di sfiducia nei confronti del Parlamento». In Aula gli ha replicato la relatrice grillina, Fabiana Dadone: «La sovranità appartiene al popolo e, così, i cittadini avranno uno strumento in più per esercitarla. Gli italiani hanno tutto il diritto di poter proporre e votare le leggi che gli stanno più a cuore. Chi non vede di buon occhio questo, dimostra solamente scarsa fiducia nel popolo, o peggio, confessa di temerlo».
Una dura nota polemica è arrivata anche dall’ex magistrato Carlo Nordio, il quale ha parlato di una riforma con «criticità enormi», «incomprensibile, scritta male e offensiva per chi la Costituzione l’ha scritta» e si è soffermato in particolare sull’aspetto penale: «Nella procedura penale anche le virgole hanno un peso. Se tu scrivi una legge in modo confuso, approssimativo, privo di tecnica, fai un danno enorme perché rendi la norma inapplicabile. Figuriamoci se questo compito così delicato lo si delega alla cosidetta “volontà popolare”». E ha concluso con una sferzata: «Così il sistema si sfascia. Ci dobbiamo augurare che questo testo finisca nella spazzatura». Parole pensantissime, che presagiscono una presa di posizione altrettanto dura da parte del mondo giuridico, come già successo per la norma sulla prescrizione.