La Cedu è un faro dell’Europa. L’estremo baluardo dei diritti. Ne sa qualcosa l’Italia. O meglio: ne sanno qualcosa gli italiani che solo dalla Cedu, la Corte europea dei Diritti dell’uomo, hanno ottenuto giustizia. Come le decine di migliaia di detenuti a cui è stato assicurato un minimo di sollievo solo dopo la sentenza Torreggiani, in virtù della quale fu approvato lo sconto di pena (la liberazione anticipata) tuttora in vigore. O come Bruno Contrada, perseguitato in tutti i modi possibili finché i giudici di Strasburgo non hanno costretto lo Stato italiano a riconoscere, all’ex dirigente del Sisde, un risarcimento. Ebbene: la Cedu è un’articolazione del Consiglio d’Europa. Organizzazione sovranazionale che, com’è stato ricordato nelle ultime ore – anche su questo giornale – in tutte le lingue possibili, non ha nulla a che vedere con l’Ue, tanto da includere non 27 ma ben 46 Paesi.

Ma se la Corte europea dei Diritti umani può essere considerata come il fiore all’occhiello del Consiglio d’Europa, la Commissione contro il razzismo e l’intolleranza ( nota con l’acronimo “Ecri”), che nel rapporto reso noto due giorni fa ha accusato polizia e politica italiane di xenofobia, rischia invece di deturpare l’immagine dell’organizzazione di Strasburgo. Non tanto perché le accuse di rigurgiti razzisti rivolte all’Italia siano completamente prive di riscontri nel quotidiano: alcune battute di Roberto Vannacci hanno avuto, negli ultimi mesi, un’inevitabile eco in tutto il Vecchio Continente. Così com’è vero che discorsi ghettizzanti e discriminatori, in particolare nei confronti della comunità rom, si siano sentiti più volte, «soprattutto durante i periodi elettorali», come registra il documento del Consiglio d’Europa.

Ma sparare a palle incatenate contro un intero Paese, contro le sue forze dell’ordine, contro il suo sistema politico – a cui è riferita, in modo sostanzialmente generalizzato, l’accusa, contenuta nel Rapporto, di esprimere un «discorso pubblico sempre più xenofobo», dai «toni altamente divisivi e antagonisti, in particolare nei confronti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, nonché di cittadini italiani con background migratorio, rom e persone lgbti» –, ecco, tutto questo è francamente troppo. Così abnorme da suscitare davvero perplessità sull’autorevolezza, sull’attendibilità complessiva delle relazioni, o report che dir si voglia, prodotte dall’organizzazione di Strasburgo.

E la perplessità sulla tenuta, sul “rating” di affidabilità del Consiglio d’Europa, o quanto meno dell’Ecri, vacilla anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate, prima in esclusiva al Dubbio (nell’edizione di ieri) e poi con un comunicato stampa ( poche ore dopo), dal componente italiano della Commissione, Alberto Maria Gambino. Ebbene, il giurista, che è prorettore dell’Università Europea di Roma, lascia intuire, nella propria nota, che il passaggio sulle pratiche di “profilazione etnica” attribuite ai nostri agenti è al limite del “falso materiale”. Gambino osserva, in particolare, che «la Raccomandazione rivolta al Governo italiano di commissionare uno studio indipendente su eventuali pratiche di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, non deriva da alcuna constatazione che ciò effettivamente si verifichi in Italia ma piuttosto è indicato dai due Commissari (rumeno e bulgara, ndr) che hanno redatto il Rapporto attraverso singole testimonianze raccolte durante la loro visita in Italia, testimonianze peraltro discutibili in quanto riconducibili agli stessi soggetti interessati da fermi di polizia». Come dire che il giudizio sulla xenofobia dei nostri agenti è tanto roboante quanto approssimativo nei suoi riscontri, cioè «discutibile», come accusa senza mezzi termini il componente italiano. Insomma: i due commissari autori del severissimo rapporto sull’Italia hanno utilizzato fonti non verificate, hanno lanciato accuse prive di basi, e tutto questo è stato reso possibile dai meccanismi di funzionamento del Consiglio d’Europa. Meccanismi che, tra l’altro, come ricordato ieri sul Dubbio, impediscono, al rappresentate del Paese interessato dal report, di offrire quanto meno un proprio parere.

Ne esce a pezzi l’Ecri, ma ne esce a pezzi l’intero Consiglio d’Europa. Al di là di quanto siano inverosimili le tesi sostenute, è significativo che una denuncia dagli effetti mediatici così devastanti – il rapporto è stato per molte ore la top news italiana – si basi su una ricerca ritenuta claudicante da un componente dello stesso organismo. Poi certo, Gambino fa notare come il Rapporto sull’Italia metta in primo piano anche aspetti positivi: ad esempio, «al paragrafo 46, si plaude all’attuale Governo e alla Presidente del Consiglio in carica per la condanna chiara ai discorsi d’odio antisemita (esplosi, evidentemente, dopo la risposta israeliana al 7 ottobre, ndr) e», ha ricordato Gambino sul Dubbio di ieri, «alla “pronta reazione” del Ministro della Difesa al “libro pubblicato da un generale italiano”», cioè da Roberto Vannacci. Il documento, ha aggiunto il Prorettore dell’Università Europea di Roma nella nota stampa, è dunque «ben più ampio e considerevole di quanto sta emergendo nel dibattito pubblico», e «mette in luce molti aspetti positivi come politiche educative sempre più inclusive, l’accesso generalizzato all’assistenza sanitaria per tutti gli immigrati, un forte impegno istituzionale nella lotta ai discorsi d’odio». Ancora, il Rapporto della Commissione anti razzismo e intolleranza del Consiglio d’Europa, non può essere considerato un atto d’accusa contro l’Esecutivo italiano in carica, né in particolare contro il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, visto che, segnala Gambino, «si riferisce agli ultimi otto anni di vita del nostro Paese e con Governi di colore diverso».

Ma neppure l’orizzonte temporale ampio pare in grado di attenuare la sensazione di un lavoro approssimativo, quasi concepito a fini sensazionalistici più che di denuncia. Quando due giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso «stupore» per le accuse rivolte dal report alle forze dell’ordine italiane, intendeva probabilmente anche riferirsi a questo: all’incomprensibile scivolone di un Consiglio d’Europa che lancia accuse “per sentito dire” a un Paese considerato la patria del diritto, presidiato da istituzioni difficilmente tacciabili di intolleranza.