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Non si placano le polemiche all’indomani della pubblicazione dell’ultimo Rapporto presentato dal Consiglio d’Europa sulla diffusione del razzismo e del linguaggio d’odio. Secondo tale rapporto in Italia sarebbero in essere «pratiche discriminatorie» da parte delle Forze dell’ordine, con l’utilizzo di «parole xenofobe» diffuse da rappresentanti delle Istituzioni e in particolare da esponenti politici. La parte sulla Forze dell’ordine è quella che - ovviamente - ha suscitato le polemiche più accese.
Secondo l’Ecri, infatti, in Italia, senza citare però casi specifici, tra le Forze dell’ordine è frequente il «racial profiling», la profilazione razziale, cioè controlli e fermi di polizia basati sull’origine etnica. A tal riguardo le autorità preposte non sembrerebbero essere “consapevoli” dell’entità del problema. Accuse gravissime che hanno suscitato la dura reazione del capo dello Stato Sergio Mattarella.
Ieri sul punto è intervento il professor Alberto Gambino, commissario italiano Ecri e prorettore vicario dell’Università europea di Roma, per smentire quanto contenuto nella Raccomandazione rivolta al governo italiano di commissionare uno studio indipendente proprio su eventuali pratiche di profilazione razziale da parte delle Forze dell’ordine. Essa, scrive Gambino in una nota, «non deriva da alcuna constatazione che ciò effettivamente si verifichi in Italia ma piuttosto è indicato dai due Commissari (rumeno e bulgara, ndr) che hanno redatto il Rapporto attraverso singole testimonianze raccolte durante la loro visita in Italia, testimonianze peraltro discutibili in quanto riconducibili agli stessi soggetti interessati da fermi di polizia». Parole che non possono far riflettere sull’attendibilità di tali rapporti che dovrebbero basarsi su «analisi documentali, un sopralluogo nel Paese in questione e in seguito un dialogo confidenziale con le autorità nazionali».
I rapporti dell’Ecri, viene specificato, «non sono frutto di indagini o prove testimoniali. Si tratta di analisi basate su informazioni raccolte da un’ampia varietà di fonti. Gli studi documentali si basano su numerose fonti scritte nazionali e internazionali. La visita in loco fornisce l’occasione di incontrare direttamente le parti interessate (governative e non), al fine di raccogliere informazioni dettagliate». Per quanto riguarda l’Italia, fra le fonti di conoscenza figurerebbe un solo quotidiano, “Reggio Today”, un po’ poco per giungere a conclusioni così impegnative. Nessuna statistica, ad esempio, proprio sui controlli effettuati dalle Forze dell’ordine.
I carabinieri, va ricordato, fin dal 2000 hanno aggiornato le loro procedure di raccolta dati. In passato esse avevano portato ad una proliferazione eccessiva e ad una conservazione stabile di un numero enorme di pratiche permanenti, che l’Arma stimava in circa 95 milioni. Si trattava di fascicoli che oltre ad accorpare ulteriori pratiche informative preesistenti e mai distrutte, recavano un numero elevato di informazioni raccolte in base ad una prassi introdotta negli anni cinquanta anni e in contrasto con sopravvenuti principi in materia di protezione dei dati.
«Bisogna ringraziare il membro della Commissione Ecri per averci chiarito come funziona la costruzione dei vari rapporti oggetti d’indagine: quello sulla intolleranza e razzismo che ha fatto infuriare anche il pacato Presidente della Repubblica è frutto di una visita nel nostro Paese dei due commissari incaricati che hanno “raccolto le prove” per scrivere quello che hanno scritto.
Hanno sentito alcuni personaggi, oggetto di fermo di polizia e ne hanno fatto di testimoni eccellente», ha commentato Antonio Leone, ex componente del Csm e già presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. «La cosa mi ha fatto venire alla mente un vecchio brocardo: chiedere all’oste se il vino è buono. Evidente il vino è piaciuto a tutti i membri della Commissione anche a quello italiano», ha aggiunto sarcastico Leone.