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«Caro Ignazio Marino, ho letto con attenzione le tue parole. Come te, amo profondamente Roma, la nostra città. E mi trovo d’accordo su diverse delle idee da te proposte. L'esperienza maturata in questi anni mi ha portata a chiederti scusa per alcuni gesti che non rifarei e a poter dire con contezza che da sindaco avevi provato ad avviare un cambiamento che questa città richiede». Un commento ad un post su Facebook. Così Virginia Raggi, sindaco uscente della Capitale, chiede scusa ad Ignazio Marino, ex sindaco messo alla gogna dal suo stesso partito, salvo poi essere riabilitato dalle sentenze. Una caduta, la sua, che portò all'ascesa del M5S a Roma, dopo un periodo di commissariamento e la parentesi di "Mafia Capitale", finita anch'essa in fumo alla prova delle aule giudiziarie. Raggi, a distanza di anni dal dramma politico e personale di Marino, mette una pezza, ricordando l'impegno dell'ex sindaco a Roma. «Provato - continua Raggi - perché il percorso fu interrotto a causa della “congiura di palazzo” ordita dal Pd romano in uno studio notarile: consiglieri in fila, senza il coraggio di una votazione in aula, per mandare a casa il sindaco della Capitale d'Italia.Una pagina da dimenticare dalla quale, in questi giorni, lo stesso Pd romano prova maldestramente a prendere le distanze: sono le stesse persone che ora si sono ricandidate e dicono di voler proseguire il cammino che, come dici, hanno volutamente interrotto anni fa. In questi anni ho appreso che il tempo è galantuomo e che è possibile cambiare idea: è segno di maturità e umiltà. Ma si deve anche avere credibilità, quella che manca a chi falsamente ora si professa “dispiaciuto”. Io mi batto per cambiare Roma. Lo faccio ogni giorno da cinque anni a questa parte. Come tu non hai timore di fare il nome di chi ti ha tradito, io voglio dirti che adesso è il momento di dimostrare il nostro coraggio e portare avanti queste idee insieme. Per Roma. Per i nostri cittadini». Sul suo profilo Facebook Marino aveva scritto un lungo post-riflessione sulla tornata elettorale. «Sono stato molto combattuto nel decidere se scrivere questa riflessione. Per settimane mi sono chiesto se volevo davvero espormi alle critiche che naturalmente genererà. Alla fine ho deciso di fare ancora una volta ciò che sento giusto e non quello che mi sembra più conveniente - ha scritto -. Prima di esserne messo alla porta, io fui un orgoglioso fondatore del Partito Democratico e addirittura corsi per la segreteria nazionale. Credevo che potesse rappresentare una straordinaria opportunità per l’Italia, accogliendo gli aspetti migliori dell’eredità culturale e valoriale del Partito Comunista di Enrico Berlinguer e della Democrazia Cristiana di Aldo Moro. Nel solco di questo pensiero ho messo tutto il mio impegno quando ho avuto responsabilità istituzionali, nel Parlamento e in Campidoglio». «Non conosco la visione del Partito Democratico sui temi che riguardano l’umanità e il pianeta nell’unico tempo che conta, il futuro, e ho la sensazione che una visione condivisa di valori non la abbia - continua Marino -. Su questo posso essere in errore. Invece, anche a causa delle diffamazioni subite e dei 25 (venticinque) procedimenti giudiziari a cui venni sottoposto dopo la mia rimozione da Sindaco, ma anche per il mio profondo amore per Roma, ho sempre seguito le vicende romane. I partiti fondatori del Pd ebbero un ruolo importante nella Capitale dal momento in cui la legge elettorale affidò ai cittadini la scelta dei Sindaci. Quel ruolo, sorprendentemente, si esaurì proprio contemporaneamente alla fondazione del Pd, con la vittoria elettorale di Gianni Alemanno. Dal 2008 il Pd ha svolto a Roma un ruolo di opposizione. Sono incerto se questo sia dovuto alla incapacità di riconoscere le proprie debolezze oppure alla determinazione di conservare una fetta di potere anche se progressivamente ridotta». «Sulla base del mio programma di idee - ha aggiunto - stavo lavorando con mille ostacoli, fino a quando un gruppo di “Onorevoli Consiglieri” ha deciso di tradire quel progetto di trasformazione che avrebbe fatto bene alla città. Un gruppo di persone che non ha neanche avuto il coraggio di votare una sfiducia ma si è rifugiato nello studio di un notaio. È poco serio che il Pd candidi adesso quelle stesse persone ad amministrare Roma. Non posso essere silente di fronte a questa ennesima giravolta di chi pensa al potere come un sostantivo e non come un verbo: poter fare, poter cambiare, poter costruire. Devo riconoscere che, inaspettatamente, Virginia Raggi ha voluto pubblicamente chiedere scusa per alcuni azioni ingiuste e ingenerose. Credo che si tratti di scuse vere: l’esperienza e la riflessione nella vita portano a valutare se stessi e a maturare. D’altra parte coloro che agirono sottraendo ai Romani il diritto di giudicare non hanno mai avviato un dibattito sulle loro azioni ed, evidentemente, le ritengono irrilevanti se questo non impedisce alle loro coscienze di ricandidarsi».