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All’indomani della tragedia di Raganello, la cui ondata di pieno ha ucciso dieci persone, tra gli articoli dedicati alla vicenda era presente, in tutti i quotidiani, una riflessione volta ad individuare le responsabilità. Vi era stata una allerta meteo, diramata sin dal giorno precedente, e sarebbe stato prudente impedire l’accesso alle gole. La Procura della Repubblica competente ha, perciò, aperto un’indagine. E non si tratta, è bene dire subito, della condotta di un inquirente che aspira alla visibilità mediatica e che svolge il proprio ruolo con un inammissibile protagonismo. La realtà è che di fronte alla tragedia verificatasi, è opinione assolutamente comune che debbano esservi responsabilità da perseguire penalmente.
Occorre, tuttavia, chiedersi se analoga reazione vi sarebbe stata 30 o 40 anni fa. La risposta è no. La responsabilità dell’accaduto sarebbe stata attribuita alla decisione dei singoli di effettuare la gita e la dichiarazione di scarico di responsabilità firmata da coloro che si sono affidati alle guide sarebbe stata considerata del tutto superflua. Oggi quella dichiarazione di scarico di responsabilità è dubbio che possa avere una reale efficacia.
Cosa è successo, allora, in questi 30/ 40 anni di così significativo da travolgere completamente i criteri della responsabilità e dell’autoresponsabilità? Quali fattori hanno inciso così profondamente sul sentire comune da modificare stabilmente la coscienza collettiva?
Un aspetto che ha certamente influito su questo nuovo sentire è che le insicurezze, generate dalla combinazione di globalizzazione e reiterato verificarsi di disastri portati nella casa di ciascuno da un sistema di mezzi di comunicazione la cui efficacia e capillarità è cresciuta a dismisura, si sono risolte in una richiesta di maggiore protezione da parte dei soggetti sia pubblici e sia privati. Ad essa si accompagna, poi, una ansia di punizione come unico mezzo idoneo a dare certezze ed a placare la collettività impaurita, stordita e confusa. Del resto, se si pensa agli applausi, rivolti dalla folla presente ai funerali delle vittime di Genova ai rappresentanti del Governo, non si può non rilevare che si tratta del riconoscimento di aver bene interpretato il ruolo di difensori della collettività. Anche l’atteggiamento di coloro che hanno rifiutato i funerali di stato, in definitiva, è stato ispirato dall’idea che spetta allo stato la protezione dei cittadini, solo che per costoro il compito non è stato assolto.
L’altro aspetto che certamente ha rilievo è un diffuso, anche se non infrequentemente errato, convincimento di una piena conoscenza e della disponibilità di un efficace potere di controllo da parte dell’uomo di qualsiasi fenomeno, anche naturale, possa verificarsi. Si ritiene che, quantomeno sul piano della previsione, qualsiasi evento sia fronteggiabile, con conseguente responsabilità di tutti i soggetti, pubblici e privati, che nella vicenda hanno avuto un ruolo. Il pensiero non può non andare a quei componenti di una commissione scientifica, cui fu imputato di non aver previsto il terremoto de L’Aquila.
Si tratta di un fenomeno, la cui portata è talmente ampia e così profondamente penetrata nella coscienza collettiva da non potere, almeno in questa epoca storica, essere messo in discussione. Il che, tuttavia, non impedisce di denunciare i pericoli cui possono dare luogo gli eccessi. Il primo e più importante è che l’ansia di punizione si risolva nella individuazione di meri capri espiatori, secondo una logica di risposta all’esigenza di placare le ansie collettive, che ha numerosi e collaudati precedenti storici. La seconda è che i risultati ottenibili comodamente attraverso una analisi che avviene successivamente siano automaticamente fatti coincidere con quelli di una molto più difficile analisi da svolgere anteriormente. Se non si presta rigorosa attenzione a questi rischi, il populismo giudiziario trova praterie sconfinate su cui dominare. E’ sintomatico il diffuso apprezzamento nell’opinione pubblica della dichiarazione governativa, all’indomani della tragedia di Genova, della volontà di adottare provvedimenti punitivi senza attendere le sentenze.