«Potrebbe piovere», direbbe qualcuno a Matteo Salvini, citando un vecchio film, se il segretario della Lega chiedesse a un suo immaginario interlocutore cos'altro di negativo potrebbe accadere nell'orizzonte del Carroccio. Stando alle previsioni meteorologiche è molto probabile che arrivino anche i temporali, ma per il momento ciò che è capitato al vicepremier negli ultimi mesi è già abbastanza preoccupante e fonte di riflessioni gravi. Si parte, ovviamente, dagli eventi più recenti, e cioè dalla mancata rielezione della governatrice dell'Umbria Donatella Tesei, sostenuta da tutto il centrodestra ma sponsorizzata dalla Lega, che aveva espugnato quattro anni fa una regione storicamente di sinistra, sulle ali di un exploit nazionale. Cosa resta di quello scenario? Praticamente nulla: gli equilibri interni nel centrodestra si sono rovesciati, e in particolare il partito di Salvini, dopo quest'ultima tornata elettorale, certifica la propria crisi e una posizione subordinata all'interno dell'alleanza, che potrebbe avere conseguenze sia negli equilibri interni al Carroccio, sia nelle prossime scelte dell'esecutivo.

Il primo dato che salta agli occhi, mettendo in fila i risultati delle Regionali dall'avvio della legislatura, le regioni passate dal centrosinistra al centrodestra coincidono con quelle in cui l'uscente era leghista. Gli unici governatori persi sono, dunque, entrambi del Carroccio. Che ora non può contare su alcun presidente di Regione al di sotto della linea gotica, a dispetto della linea nazionale su cui Salvini sta insistendo da tempo, al prezzo anche di qualche timido mal di pancia interno. Il secondo dato allarmante è che Forza Italia sembra aver stabilizzato il sorpasso ai danni della Lega, che fino a qualche tempo fa sembrava effimero e passibile di controsorpasso alla prima elezione utile. E invece il margine di cui godono gli azzurri (con l'ausilio talvolta di Noi Moderati) appare ora incolmabile, a cristallizzare una gerarchia del centrodestra di cui la premer Giorgia Meloni non potrà non tenere conto. Ad esempio sul fronte dell'autonomia, dove Salvini e i suoi, pur ostentando fiducia e ottimismo, hanno rimediato una severa censura da parte della Consulta alla legge Calderoli, che dovrà in pratica essere rifatta per almeno la metà delle sue norme, in particolare quelle relative alla definizione dei Lep.

In una dinamica in cui appariva chiaro che Forza Italia desiderasse segretamente (e nemmeno tanto) uno stop sine die all'autonomia, l'altolà dei giudici costituzionali, salutato apertamente con gioia da esponenti azzurri come il presidente Roberto Occhiuto, potrebbe relegare il provvedimento e la sua entrata in vigore ad un binario morto, eventualità che andrebbe maggiormente verso i desiderata di Meloni, rispetto alla celebrazione di un referendum divisivo per gli italiani e per la coalizione. Su questo punto, le opposizioni non sono state con le mani in mano, presentando ieri una mozione unitaria contro la legge Calderoli, con l'evidente intento di spaccare la maggioranza. Poi, come si diceva, c'è il fronte interno, che ultimamente si era tranquillizzato, dopo le voci di una possibile fuoriuscita del generale Vannacci per fondare un suo movimento politico di estrema destra.

Ipotesi che potrebbe ora tornare a riscaldarsi, se la crepa tra partito del Nord e sovranisti tornasse a farsi visibile, dopo l'” imbiancata” operata a Pontida da Salvini, nel nome della difesa del leader dall'attacco dei giudici di sinistra. Su quel palco, come tutti ricordano, si scomodò il fior fiore del sovranismo europeo, guidato dal premier ungherese Viktor Orban, e non mancò una sorta di patrocinio trumpiano: il presidente in pectore degli Usa, infatti, fu corteggiato fino alla fine, almeno per l'invio di un videomessaggio, ma si limitò a “benedire” la manifestazione a mandare degli emissari. Ed è proprio questo l'aspetto più deludente per Salvini: l'effetto Trump, sul quale aveva puntato più di tutti gli esponenti del centrodestra, tanto da rivendicare la propria primazia tra i supporter italiani del tycoon all'indomani della vittoria su Kamala Harris, a livello elettorale non si è visto.

Difficile, d'altra parte, che gli elettori di Sasso Marconi o di Umbertide scegliessero il proprio presidente di regione sulla base delle elezioni a stelle e strisce, ma il segretario leghista non può negare di averci sperato almeno un po'. Quello che potrebbe fare, però, è aumentare la pressione su Meloni per iniziative diplomatiche che allentino il sostegno militare a Kiev. La presidente del Consiglio, interpellata sul tema dai cronisti a Rio de Janeiro a margine del G20, ha affermato che «finché c'è una guerra in Ucraina noi saremo a fianco all'Ucraina». Una posizione chiara, che tra l'altro ribadisce quella espressa qualche giorno fa nelle vesti di presidente del G7, e che potrebbe cominciare a stare stretta al leader del Carroccio.